Nella rossa Bologna il candidato sindaco finisce nella trappola dei compagni del Pd

RomaVista dall’esterno la Bologna democratica appare come un’arena di lottatori nel fango. Un vaso di Pandora aperto e richiuso, settimana dopo settimana, da una mano dispettosa. Un agone in cui ci si scontra allegramente, tutti contro tutti, «anteponendo il proprio interesse a quello della ditta» (copyright Pier Luigi Bersani), mettendo in piazza egoismi, rivalse, faide interne, in una sorta di grande psicodramma collettivo.
Per la città che ha rappresentato per decenni lo specchio e il moltiplicatore della credibilità amministrativa del Pci, il modello anomalo da proiettare a livello nazionale, il biglietto da visita locale del possibile buon governo nazionale, è tempo di vacche magrissime in termini di immagine. Dopo la caduta di Flavio Delbono, il «sindaco breve» travolto dal cosiddetto Cinzia-gate, e il conseguente commissariamento, Bologna è passata attraverso primarie che il capogruppo Pd in Regione Marco Monari non ha esitato a definire «puro Vietnam». Alla fine di un processo ad eliminazione dai toni anche drammatici - Maurizio Cevenini fu costretto a ritirarsi per un attacco ischemico - il 23 gennaio scorso è arrivato il verdetto popolare che ha premiato il candidato ufficiale del Pd, Virginio Merola. Sembrava la conclusione di una stagione impazzita, «la fine dell’inverno del nostro scontento», per dirla con lo stesso Merola. Alla prova dei fatti è stato soltanto un nuovo inizio.
Sì, perché l’aspirante successore di Delbono è finito impantanato in una palude di veleni che ai più è sembrata una grande trappola preparata dai suoi stessi compagni di partito. Contro di lui è stato recapitato alla procura, ai segretari dei circoli e ai giornali, un dossier anonimo di sei pagine contenente vicende talmente circostanziate da apparire figlie di un fuoco amico, una somma di accuse e malignità relative al periodo in cui fu assessore all’Urbanistica nella giunta Cofferati, tipiche dell’insider trading di partito.
La procura ha aperto un’inchiesta, Merola ha presentato un esposto, rilasciando un’intervista che ha accreditato proprio la pista interna al Pd. «Alla serata dei rottamatori» ha raccontato «a Bologna, mi avvicinò all’uscita dal bagno uno sconosciuto, un uomo sui 40 anni di origine meridionale, che mi disse: “Ti rovineremo”, poi scappò via. Non ne ricordo la faccia». Un’ipotesi, quella del «tradimento amico», non esclusa neppure dal collega Cevenini. Merola ostenta sicurezza: «Non ho niente da nascondere. Affinità con Delbono? No, quello è tutto un altro film». È però di tutta evidenza che il Pd, dopo la litigiosa epopea della selezione del candidato, tutto sognava meno che un incipit della campagna elettorale così controverso e tumultuoso. E ora c’è chi, a mezza bocca, evoca la «maledizione delle primarie», sostenendo che portano iella. Chi ritiene che nella rossa Bologna l’importazione di un prodotto americano come le primarie non possa che essere mal digerito.

E chi ricorda l’indimenticabile definizione di Nichi Vendola: «Le primarie sono come il bambino che si porta all’orecchio la conchiglia per ascoltare il rumore della vita». Peccato che nella conchiglia bolognese si ascolti soltanto il potente rumore del caos.

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