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Nella sua squadra il figlio di Gheddafi, Saadi voleva soltanto compagni "senza nome"

La rivelazioni nell'inchiesta dell'Interpol: come calciatore era un pollo ma i telecronisti libici non dovevano mai nominare quelli più bravi di lui. E gli arbitri bravi? Finivano in galera

Nella sua squadra il figlio di Gheddafi, Saadi 
voleva soltanto compagni "senza nome"

Arrivò in un pomeriggio di inizio estate del 2003, accompagnato da quattro guardie del corpo prese in prestito dal circo del wrestling. Sembrava un attore di hollywood. Movenze alla Nicolas Cage, occhiali da sole con lenti azzurre, cappellino da baseball, jeans sdrucidi e camicia trendy. Niente male anche la location, Torre Alfina, piccolo angolo di paradiso che con la sua vista controlla Viterbo e Orvieto. Al Saadi Gheddafi, l'uomo ricercato dall'Interpool che gode dell'ospitalità del presidente del Niger Mahamadou Issoufou a Niamey, si era messo in testa di cimentarsi nel campionato italiano di calcio. Per trastullarsi con un giocattolo che neppure papà Muammar avrebbe potuto comprargli. Si definiva «calciatore per vocazione divina» il 38enne ingegnere Al Saadi, e in quel pomeriggio di inizio estate venne presentato come nuovo acquisto del Perugia. Sotto l'aspetto tecnico i suoi piedi erano tutt'altro che educati, ma poco importava a Luciano Gaucci, il presidente dalle mille provocazioni che aveva «ripiegato» su di lui dopo il no della Lega Calcio al tesseramento di una calciatrice svedese.
Al Saadi il megalomane si lanciò in proclami di ogni genere, rivelando persino ai cronisti, con un principio di nauseante commozione, che l'allenatore Serse Cosmi sarebbe stato il suo maestro; «Dopo Allah è lui che si occupa di me». In realtà non andò proprio così, perché il tecnico degli umbri gli regalò un quarto d'ora contro la Juventus in tutto il campionato. Al Saadi scaldava la panchina, si dedicava alle feste in discoteca e alle scazzottate, e per ammazzare il tempo assumeva nandrolone. Lo sorpresero dopo una gara contro la Reggina, nella quale ovviamente non aveva messo piede in campo e si beccò tre mesi di squalifica. Lasciò Perugia cercando di comprarsi una squadra, bussando alla porta della Lazio, ma anche della Triestina e dell'Udinese. Riuscì, per via di un suggestivo connubio tra uomini del petrolio, a vestire la maglia della Sampdoria, Tamoil da una parte Erg dall'altra. Ma anche in questo caso oltre all'anonimato non raggiunse neppure il sollievo della foto tra le figurine Panini.
Fu in quel momento che venne scosso dall'ennesima folgorazione divina, il cinema. Il mondo della celluloide francamente ad Al Saadi non interessava granché, ma si era messo in testa di portarsi a letto Nicole Kidman e provò a corteggiarla promettendo di comprarle una casa di produzione australiana.
Desideri e fallimenti, uno dopo l'altro. In Italia così come in Libia. Nel rapporto dell'Interpool si fa spesso riferimento alle «marachelle» in ambito sportivo. Anche perché a Tripoli Al Saadi ne combinò davvero di tutti i colori. Concesse in quattro e quattr'otto la cittadinanza libica al portiere uruguayano Luis De Agustini, un gatto di marmo conosciuto in vacanza a Miami. Non si finisce certo in galera per questo, ma forse sì per aver fatto arrestare alcuni giornalisti televisivi o fatto marcire in carcere l'arbitro (morto suicida nella prigione di Abu Salim) che aveva concesso un rigore, purtroppo decisivo, contro il suo Al Ittihad. Una squadra in cui era presidente, allenatore e numero dieci in campo. I commentatori della tv durante le partite dovevano parlare solo di lui. Gli altri atleti venivano menzionati col numero di maglia. Il compianto Scoglio e Bersellini lo mandarono a quel paese e se ne tornarono in Italia quando tentò di imporgli la formazione. Marcello Lippi, di cui Al Saadi è sempre stato un grande estimatore, neppure prese in esame la proposta di allenare la nazionale della Libia.

Calcio e petrodollari, follie di un'onnipotenza alimentata da cotanto padre giunta al capolinea. L'ultima fermata per l'ingegnere è Niamey. Braccato questa volta non certo dai difensori avversari, quelli che prezzolava perché gli consentissero di andare in gol, ma dalla polizia di mezzo mondo.

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