«Adesso che ho compiuto 72 anni, e tra poco sarò dall'altra parte, dopo tutto quello che ho visto, disegnato, dipinto ed inciso, mi vergogno di essere un umano. Oh Signore, non posso credere che tu ci abbia creati a tua immagine e somiglianza. La prossima volta, ti prego, fammi nascere un passero, o un gatto, o un delfino, o anche solo un abete o un sasso. Amen». Sono le parole con cui Lorenzo Alessandri (Torino, 16 febbraio 1927-Giaveno, 15 maggio 2000) chiude le sue «camere», alcune delle quali esposte al Museo della Follia a Salò. Parole e pensieri chiarissimi. E, sempre più, osservandone l'opera, mi convinco di avere avuto la fortuna e il privilegio, che non sono toccati ad altri critici, di attraversarne e visitarne le camere, travolto dalle sue inconfessabili e confessate fantasie.
Ho sempre pensato che nella pittura italiana del '900 ci fosse un filone esoterico, soffocato. Un'inclinazione al sogno che si è liberata con i surrealisti in Francia, in Spagna, in Belgio. E in Italia non si è espressa, se non episodicamente e isolatamente. Eppure ce n'era traccia evidente in De Chirico, in Savinio. E poi in Clerici, Guarienti, Stanislao Lepri. Tutti isolati, solitari.
Tra i più sulfurei uno che fu amico di Lorenzo Alessandri, Enrico Colombotto Rosso (Torino, 7 dicembre 1925-Casale Monferrato, 16 aprile 2013), sommerso da immagini e memorie nel suo rifugio di Camino Monferrato. Consapevole, lui, come Abacuc, di essere gli esponenti italiani del surrealismo se insieme decisero di fondare il movimento Surfanta. Colombotto Rosso graffia, idolatra la perversa Leonor Fini; Alessandri parla con i fantasmi e racconta i suoi incontri misteriosi in trentatré camere, numerate, precedute da un'anticamera e completate da due pub's al pianterreno, dell'hotel Surfanta, in una località misteriosa.
In quelle stanze gli appaiono donne nude che danzano ebbre come furie; la Gioconda, ignuda nella parte inferiore del corpo sotto ciò che vediamo nel quadro di Leonardo, circondata dai soci maiali del Pig's Pub; se stesso cadavere pronto a trasformarsi in fantasma; suore e rettili davanti a una luminosa apparizione di Dio Padre, impiccato in una stanza rossa davanti alla Papessa Giovanna; una modella con la maschera antigas e il sesso fumante; una ballerina nera davanti a un monaco buddista nel fuoco; una direttrice d'orchestra nuda davanti ai suoi musicisti; un giustiziato sulla sedia elettrica; altre modelle con Mandrake e il cobra; la morte con la falce davanti a un ragazzo bosniaco mutilato; nove incappucciati con la bomba atomica e un gorilla.
È di questo immaginario che si nutre Alessandri, addomesticando le proprie perversioni in una favola allegra e macabra, come nell'episodio del grande inquisitore che scruta, con gli occhiali a debita distanza, il culo della puttana che lo attende paziente e festosa. L'ossessione ritorna nel ricordo di Selima Muhammad, peccatrice lapidata davanti alle fiamme come anime di molte candele, in una notte di stregonerie. Notevole la tecnica osservazione: «Il Corano giustamente specifica che le pietre per la lapidazione non devono essere troppo piccole perché non fanno abbastanza male e non devono essere troppo grandi perché possono uccidere subito». E subito, come in un altro mondo, riflettono in una stanza da bagno due misteriosi personaggi in impermeabile. È un vero e proprio viaggio all'inferno, se nella camera 28 troviamo 11 prigionieri simbolici viventi, e sentiamo «gemiti sommessi, rumori lontani di catene, odore di umido e di fame».
S'identificano Nelson Mandela, Gandhi, Primo Levi, Oscar Wilde, Dostoevskij, Massimiliano Kolbe. E ogni stanza riserva nuove sorprese: la modella olandese con l'uomo cinghiale; il topo con l'orecchio sulla schiena; il grande tacchino bianco con Lawrence d'Arabia; la Madonna di Lourdes e monsignore Milingo con le maschere antigas circondati da topi; l'angelo della morte aleggiante sui ceri accesi in una stanza rosa; Rasputin che infierisce sul cadavere di Dostoevskij; dodici matte, dolenti tra la puzza di urina; il coro di uomini pesce alla luce di ventidue bottiglie con candele; l'eremita con l'uomo accucciato; Paganini che suona davanti a una culla; pipistrelli che aleggiano su un uomo e una donna drogati sotto lo spettro di Freud; un pesce palla che corre verso venti candele; la strega con il cappello napoleonico seduta su una lumaca ermafrodita e il pittore con cilindro, cappotto e ombrello; Girolamo Savonarola arrostito con l'avvoltoio Wulwur con Franz Kafka morto nell'angolo con i topi; l'uomo rinoceronte che fa il bagno con una modella in una vasca-bara; Cristo solitario che medita davanti a una candela dopo la fine dell'Ultima cena; la morte con la falce davanti a una colomba bianca e un manichino. E infine una Gioconda trans in un pub di maialine.
Bisognava descriverle, queste inverosimili camere con i loro ospiti inattesi e necessari, come in altrettanti gironi dell'Inferno. Perché, per Alessandri, non c'è Paradiso e neppure Purgatorio. Siamo, sono tutti dannati, morti e viventi, poeti, santi ed eroi, buoni e cattivi, devoti e porci, potenti e offesi, matti e sapienti, in un elenco rappresentativo di tutta l'umanità senza distinzione tra virtuosi e viziosi. Varia e completa è la scelta di Alessandri, per popolare le sue stanze, per invitare i suoi ospiti.
La sua fantasia è macabra e sfrenata. Come pochi artisti dopo Bosch, Alessandri ci racconta le sue ossessioni in descrizioni mostruose e straordinarie. Inventando situazioni e episodi impensabili, comici e tragici. Alessandri libera e descrive i suoi incubi e i suoi turbamenti, spesso in forma di tormenti, e si candida a primo surrealista italiano. Un puro visionario. Mi piace ricordarlo, lui così sulfureo e diabolico, insieme a un altro sognatore, ma senza incubi, come Alessandri dimenticato: Gustavo Foppiani, piacentino. Sognatore senza umiliazioni e senza malizie: il paradiso e l'inferno.
Riscoprire Alessandri, oggi, vuole dire restituirgli il posto che non gli è stato dato nell'arte della seconda metà del Novecento, militarmente occupata da alcuni artisti obbligatori, spesso ripetitivi e poveri di idee, compiaciutamente
(e non cristianamente) «poveri», adatti a un tempo senza anima e senza spirito. Alessandri rischiò (e patì) l'isolamento per mantenersi fedele al suo sentimento e alla sua febbre. E oggi continua a parlarci e a stupirci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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