«Nelle mie Baccanti il volto moderno della tragedia greca»

P énteo, con l’accento sulla prima «e». Luigi Lo Cascio pronuncia così, in modo un po' innaturale ma filologicamente corretto, il nome del protagonista delle «Baccanti», l’opera di Euripide che una certa tradizione critica indica come l’ultima tragedia della classicità. Da questo dramma vorticoso ed enigmatico, indubbiamente sublime ma dai risvolti splatter, Lo Cascio ha tratto «La caccia», lo spettacolo in scena da martedì all’Elfo di via Menotti. Scrupoli fonetici a parte, l’attore-icona del nuovo cinema italiano, che alla realizzazione dei film ha sempre alternato un’intensa frequentazione del palcoscenico,si è guardato bene dal prendere Euripide alla lettera: «la mia non è una trasposizione puntuale del testo – dichiara infatti al Giornale - ma una rilettura nella prospettiva di Penteo, il re di Tebe che finisce dilaniato dalle Baccanti».
Nella versione originaria della tragedia tutto ruota attorno a Dioniso (che per i Latini è Bacco), il nume dell’ebbrezza e del teatro, di cui il giovane sovrano nega però l’origine divina. Da razionalista ante litteram Penteo va a caccia del presunto impostore al fine di smascherarlo, ma si ritrova con l’essere a sua volta preda del dio, che progetta per lui un’orribile fine. Mentre travestito con abiti femminili spia le Baccanti (le donne fanaticamente devote a Dioniso-Bacco) intente a celebrare i loro culti, il re viene sorpreso e ucciso dalla più di invasata fra esse, sua madre Agave.
«Il tema della caccia ricorre ossessivamente sullo sfondo del testo di Euripide. Anche a livello lessicale, verbi come ‘imbrigliare’, ‘irretire’, ‘imprigionare’ si ripetono di continuo. Nel mio spettacolo ho collocato in primo piano l’azione del braccare e ho evidenziato un ribaltamento tipico della dinamica tragica: il predatore che diventa preda, l’eroe che si fa vittima, la figura attiva che si trova a dover subire passivamente il suo destino». Eppure alcuni critici hanno letto «La caccia» come una sorta di anti-tragedia, come una denuncia del venir meno dei valori profondi dello spirito tragico... «Si tratta di un fraintendimento. Lo spettacolo non prospetta alcun crepuscolo della tragedia: semmai ne mette in luce la natura complessa, irriducibile a schemi di comodo, e le difficoltà di rappresentazione nel presente. “La caccia“ fornisce certamente dei segnali d’allarme: i cori per esempio sono stati sostituiti da quelli che io definisco i “coroselli“, cioè gli spot pubblicitari, che oggi sono la più autentica espressione del sentire collettivo. Ma la figura di Penteo resta di conturbante attualità. Così come la sapienza tragica, la consapevolezza dell’impossibilità di dominare razionalmente il reale».
Il Penteo interpretato da Lo Cascio è un individuo delirante che racconta la sua storia evocando gli spettri e le pulsioni contraddittorie che l’hanno guidata. La resa di questa dimensione fantasmatica è affidata alle immagini elaborate da Alice Mangano e Nicola Console, due artisti palermitani che da anni risiedono a Milano. «Il ruolo di Alice e Nicola in questo spettacolo è fondamentale: Nicola è presente anche in scena, mentre realizza dal vivo un grande disegno su una lavagna che viene in seguito proiettato sullo sfondo. Le immagini che hanno realizzato traducono visivamente l’interiorità del personaggio, i suoi aspetti più reconditi, le sue allucinazioni...».
L’incontro con Mangano e Console è avvenuto a Palermo negli anni Ottanta. Lo Cascio si è poi imbattuto nei due artisti durante i suoi frequenti soggiorni milanesi, dovuti alle riprese de «La meglio gioventù», il film di Marco Tullio Giordana che l’ha rivelato al grande pubblico, ma anche a recenti partecipazioni in spettacoli teatrali come «Il silenzio dei comunisti», prodotto dal Piccolo con la regia di Ronconi, grazie al quale ha ricevuto il Premio Ubu.

A Milano peraltro l’attore afferma di essersi sempre trovato benissimo e di aver instaurato un ottimo dialogo con il suo pubblico. Anche con quello meno ferrato nella cultura classica, ma comunque fervidamente appassionato di teatro, che di solito, e senza pensarci troppo, pronuncia Penteo con l’accento sulla seconda «e».

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