Nelle strade di Teheran dilaga la rivolta Spari, manganellate e acido sulla folla

«Non ci fermiamo. Sono qui, sono pronto a morire». Mir Hossein Moussavi scende tra i suoi sostenitori in una giornata di fuoco in cui nelle strade di Teheran è successo di tutto. Addirittura uno strano attentato che ha fatto due morti e otto feriti, sembra commesso da un kamikaze, al mausoleo dell’ayatollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica; e un assalto a una sede dei sostenitori del presidente Mahmoud Ahmadinejad, che è stata incendiata. La tv satellitare Al Jazeera International ha mostrato immagini di scontri in diverse strade della città, con la polizia in azione tra il fuoco e il fumo.
Documentare e verificare quanto accade in Iran è molto difficile a causa delle drastiche restrizioni imposte al lavoro dei giornalisti sul posto e così ci si affida ai blog e ai filmati amatoriali immessi sulla Rete. Su Twitter, in serata, circola la notizia di almeno 30-40 morti e 200 feriti, dato «confermato» dall’ospedale Fatemiyeh di Teheran. I blogger scrivono anche che «la polizia sta prendendo i nomi dei feriti che arrivano nell’ospedale». Un video finito su YouTube mostra la tragica fine di una ragazza, a terra in una pozza di sangue mentre le viene praticato invano un disperato massaggio cardiaco sull’asfalto. Altre immagini mostrano poliziotti in borghese che picchiano e arrestano manifestanti, trascinandoli nelle loro auto. Un blog riferisce di acqua bollente, mista a una sorta di acido corrosivo, gettata dagli elicotteri sulla folla: i feriti di questa repressione si conterebbero a centinaia. Parte di loro vengono accolti, sempre secondo i blog, da ambasciate occidentali come quelle australiana e britannica.
Il clima non è lo stesso dei giorni scorsi, quando a scendere per le strade erano state folle di centinaia di migliaia di manifestanti. Ieri, secondo testimoni, non si sarebbero azzardate a dimostrare più di qualche migliaio di persone. Ma chi ha deciso di osare sono evidentemente i più coraggiosi e l’effetto dei loro scontri con la polizia è ben più violento che nei giorni scorsi, quando le strade nereggiavano di gente. Un altro filmato amatoriale trasmesso su Facebook mostra la folla che grida «morte al dittatore!» e la polizia che la aggredisce violentemente a colpi di manganello. La capitale iraniana è presidiata da massicci schieramenti di forze di sicurezza, inviati per applicare l’ordine della Guida suprema della Repubblica islamica, l’ayatollah Alì Khamenei, di impedire nuove proteste contro i brogli nelle elezioni presidenziali della scorsa settimana.
Potenti getti d’acqua con gli idranti, gas lacrimogeni e manganellate sono stati impiegati contro i sostenitori di Moussavi che hanno osato dirigersi verso la piazza della Rivoluzione sfidando il divieto pronunciato il giorno prima dallo stesso Khamenei e corroborato di minacce inequivocabili («i capi delle proteste saranno considerati responsabili dello spargimento di sangue»). E non sono mancati, purtroppo, gli spari. Prima in aria, secondo testimonianze, per intimidire e disperdere i manifestanti di opposte fazioni che stavano per venire a contatto nella parte sud della sterminata capitale.
Mentre la rivolta dilaga anche in altre città dell’Iran, continua a Teheran anche la battaglia politica. Moussavi non si è lasciato intimidire e contrariamente all’opinione di molti osservatori, convinti che il leader dell’opposizione ad Ahmadinejad fosse ormai con le spalle al muro e un piede già in carcere, ha rilanciato con forza la richiesta di annullare le elezioni contestate e di ripeterle. La truffa elettorale, ha denunciato, «era stata pianificata da mesi».
Sembra dunque ormai che un punto di non ritorno sia stato raggiunto in Iran. Moussavi ne è consapevole e ieri ha detto ai suoi sostenitori di organizzare uno sciopero generale illimitato qualora lui dovesse essere arrestato. Poche ore prima si era rifiutato di partecipare alla riunione del Consiglio dei Guardiani, il principale organo legislativo iraniano: come lui anche l’altro candidato sconfitto alle presidenziali, Mehdi Karroubi.

E mentre Ahmadinejad ringraziava Khamenei per il «saggio» sostegno concessogli, dalla seduta usciva una concessione insignificante, quella di ricontare «a caso» il 10 per cento delle schede elettorali per verificare la correttezza dello scrutinio. Ma ormai Moussavi e i suoi sono oltre. Non è più questione di schede, in Iran.

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