La nemesi di Michael: tre figli, tutti bianchi

Il velo è caduto è il mondo può vedere, senza più l’incubo della querela, senza più il filtro dell’ipocrisia. Eccoli i tre figli di Michael Jackson. Hanno dodici, undici e sette anni. E sono bianchi, bianchissimi, come lui avrebbe voluto essere sin dalla nascita. Ma questa volta i farmaci non c’entrano. Contano i geni, che non mentono. E il nero di solito prevale. Nascono figli caffelatte, quasi sempre belli, come accade quando si mischiano le razze. Un po’ più scuri, un po’ più chiari, ma bianchi quasi mai. Uno su mille, forse. Tre su tre è impossibile.
Lo hanno definito l’Obama del pop. Suona bene a Michael Jackson, sta diventando l’antitesi del presidente americano, che è sempre stato fiero delle proprie origini; anche di quel padre africano con cui in realtà non ha mai vissuto. Il suo cuore era bianco, come l’amore di sua madre e dei nonni che lo hanno fatto crescere. E per tutta la vita si è sforzato di conciliare non di rinnegare. Non si è mai tinto i capelli, non ha mai messo le lenti a contatto. Ha studiato e ha vissuto da bianco, ma ha sposato una donna nera, Michelle, e nere sono le sue due figlie.
Michael invece per tutta la vita ha cercato di fuggire dal colore della pelle, che non ha mai sopportato, che lo faceva sentire diverso. E che lo ha spinto all’ultima, intima, segretissima finzione. Le foto non mentono. Quei tre ragazzini non possono essere biologicamente suoi.
I primi due li ebbe da Debbie Rowe, l’infermiera australiana sposata nel 1996. Lei aveva 36 anni, lui 37. La prima notte di nozze Michael le diede un bacio sulla fronte e si ritirò in camera. Si sussurrò allora che entrambi fossero vergini. Non cercò mai di infilarsi nel letto della moglie. D’altronde non c’è bisogno dell’amore per avere dei figli. Basta l’inseminazione artificiale.
Il primogenito Michael Joseph nacque il primo febbraio 1997, era biondo, biondissimo e aveva la pelle candida come la panna. Ora ha 13 anni, è un ometto, ma del padre non ha proprio nulla, nemmeno i capelli. Gli occhi di Paris, la secondogenita, sono azzurri e i suoi capelli castano chiaro. Ha il nasino all’insù e gli zigomi delicati, la pelle lucente. Il terzogenito, Prince Michael è nato da una «madre in affitto», che lo ha messo al mondo, ha incassato una bella ricompensa ed è uscita di scena, lasciandogli un pupo bene in carne, dai capelli un po più scuri, lo sguardo vispo. E inequivocabilmente bianco.
Michael li amava, come se stesso, più di se stesso, oltre se stesso. Schiarendosi la pelle non rinnegava la propria identità, la taroccava; proiettando il suo stralunato, imprevedibile, fantasmagorico ego sui figli. Non bastava un Michael Jackson, ce ne dovevano essere almeno altri due: Michael Joseph Jackson e Prince Michael Jackson.
Uno - quello vero o forse quello falso - se n’è andato, gli altri sono rimasti assieme alla sorellina. Lo spettacolo è finito a Neverland. Il talento è volato via, senza nemmeno salutare.
Di quei tre ragazzi sentiremo parlare a lungo. Per interesse, più che per amore; come sempre, quando ci sono in ballo centinaia di miliardi. È la solita storia. Michael giace ancora sul tavolo dell’obitorio, ma la guerra è già cominciata.

Debbie, la madre che nel 1998 rinunciò alla custodia in cambio di una rendita da nababbo, contro la nonna Katherine, che da anni tenta di proteggere i nipoti.
Una bianca contro una nera, per dei ragazzi che sono bianchi e forse si illudono di essere un po’ neri. È la nemesi di Michael. Nera o forse bianca.

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