Neonato in un dirupo, famiglia in manette

Fermati la madre del bimbo, la nonna e il convivente Il dubbio: era nato morto oppure è stato ucciso?

Neonato in un dirupo, famiglia in manette

Nadia Muratore

L’hanno avvolto in una busta gialla insieme a due bottiglie di birra, una scatola di cartone della pizza e poi gettato lungo una scarpata, a pochi metri da casa. Forse speravano che neve e animali selvatici facessero scomparire quel corpicino appena venuto alla luce e già morto, forse ucciso dalle stesse persone che gli hanno dato la vita.
È una storia orribile quella che si è consumata tra venerdì e sabato sulle montagne di Pontechianale, in provincia di Cuneo, un dramma racchiuso tra le quattro mura domestiche di una famiglia apparentemente normale e serena ma che nel cuore aveva un grande segreto da custodire, da non far trapelare. A costo di uccidere quello che era considerato «il figlio della colpa», nato - almeno sono queste le ipotesi degli investigatori - dalla relazione di una ventenne col patrigno di 50 anni, da tempo compagno della madre.
È il tardo pomeriggio di venerdì quando al pronto soccorso di Saluzzo si presenta una ragazza in preda a forti dolori alla pancia e una copiosa emorragia. La situazione è delicata, i medici decidono di trasferirla all’ospedale di Savigliano, dove c’è il reparto di ostetricia. Basta poco ai dottori per capire che la giovane ha appena partorito. Lei nega, tra le lacrime, poi ammette di aver avuto un aborto spontaneo a poche settimane dal concepimento. Accanto a lei ci sono sua madre e il patrigno che confermano la versione della ragazza ma le contraddizioni in cui cadono sono troppe per non insospettire i medici, che chiamano i carabinieri. Pressati dalle domande, i tre ammettono di aver gettato il feto vicino a casa, nella piccola frazione di Chianale dove d’inverno ci sono a malapena una decina di residenti. È ormai notte fonda quando i militari della compagnia di Saluzzo trovano il corpicino. Oltre un metro di neve candida lo ricopre, quasi la natura avesse voluto nascondere l’orrore. Siamo a oltre 1.900 metri di altezza, sul Colle dell’Agnello, reso famoso dalle prodezze di Coppi. Quello che i carabinieri trovano non è un feto ma un corpicino che era rimasto in pancia oltre 30 settimane. Sarà l’autopsia a stabilire se sia nato morto, se sia stato ucciso oppure se sia deceduto per il lungo volo o per le temperature rigide. A seconda del risultato potrebbe cambiare la posizione giudiziaria dei tre indagati. Per ora sono accusati di infanticidio, la madre della ragazza e il patrigno anche di occultamento di cadavere.
E ora emerge un particolare inquietante che fa pensare che ogni cosa sia stata premeditata. La ragazza incinta, la madre e il patrigno si sarebbero trasferiti in Valle Varaita solo da tre mesi, affittando la piccola casa di montagna dove poi si è svolta la tragedia. In realtà loro risiedono a un centinaio di chilometri di distanza, in un comune dell'albese.

In quella casa hanno lasciato altri due figli minorenni, che in questo ultimo periodo sono stati accuditi da un parente. Questo strano, quanto repentino trasloco ha fatto insospettire gli inquirenti, che lo considerano un indizio importante, alla luce del quale leggere la tragedia.

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