Del Neri: "Per vincere essere buoni non serve"

Il miracolo Samp: "Non siamo da scudetto, ma giochiamo da scudetto: siamo il Barcellona italiano. Ottengo ciò che voglio perché sono deciso. Cassano? È molto migliorato. Peggiorare non era facile..."

Del Neri: "Per vincere 
essere buoni non serve"
Genova - I tempi, dice Gigi Del Neri. I tempi sono tutto: in campo e nella vita. È il mantra della carriera, la parola chiave del ritorno: perché è salito, sceso, risalito, s’è fermato, è ripartito. I tempi, appunto. Questo è il tempo di una Sampdoria aggrappata alla Champions. Questo è il tempo di Del Neri, che a 59 anni è tornato: finita l’era Chievo, c’è l’era Samp. Finito un miracolo, c’è una favola. Scudetto? «Giochiamo da scudetto. È diverso. Siamo una squadra importante».

Ha detto: «Ho fatto tanta gavetta, sapevo che sarei arrivato tardi». Come ha fatto ad arrivare?
«Lavorando e trovando i tempi giusti. I tempi e le capacità: io sono arrivato al Chievo nel momento giusto. Ora sono arrivato alla Samp nel momento giusto. Puoi essere bravissimo, ma se non trovi i tempi magari resti ad allenare nelle serie minori».

Poteva succedere anche a lei?
«Certo».
E che cosa avrebbe fatto?
«Quello che faccio: lavorare, come sempre. Con la stessa passione. Sono in una grande squadra di A e sono felice, ma se fossi rimasto in C, sarei stato sempre Del Neri».
Serie C? Qui c'è qualcuno che parla di scudetto...

«C'è chi deve sognare e chi deve crederci. Sono due cose diverse e non necessariamente devono fondersi. Anche migliorarsi rispetto a una partita dell'anno precedente è un risultato. Piccolo. Ne arriva uno grande? Noi siamo qua, pronti a prenderlo».

Dove arriva quest’anno?
«Il nostro principale avversario siamo noi. Se crediamo in quello che facciamo possiamo arrivare ovunque».

Parlano di sogni, a Genova. Lei?
«Io? Anche io sono un sognatore. Sto vivendo e realizzando quel sogno».
E che cosa ha sognato stanotte?

«La mia vita. La realtà. In questo momento non c'è differenza».
È diventato famoso, poi è caduto, poi si è ripreso, adesso è di nuovo in alto. Che cosa ci vuole per riprendersi?

«L'entusiasmo. La passione: io vivo la mia passione ogni giorno, da quarant'anni. Senza quella non saprei stare. Senza quella non sarei me stesso».

E chi è Del Neri?
«Non c'è una definizione. Chi crede di conoscermi spesso non lo fa. Dicono che sono buono, per esempio. Non è vero».
E com'è: cattivo? Perfido?

«Sono giusto. Sono deciso, ecco. So quello che voglio e so come fare a ottenerlo. Non è detto che per farsi sentire si debba urlare».
È impulsivo?

«Mi chiede se mi incazzo? Sì, succede».
Mourinho è stato sgarbato con lei: l'ha sconfitto e lui ha fatto riferimento al suo esonero dal Porto. L'ha perdonato?

«Non ho neanche sentito quello che ha detto».
Mourinho ha fatto qualcosa per gli allenatori. Ha riportato al centro il loro ruolo...

«Ha fatto qualcosa per se stesso, non per gli altri. Sacchi ha fatto qualcosa per gli altri, per tutti».
Meglio essere una brava persona o un vincente?

«Una brava persona è già un vincente».
Ma per vincere bisogna essere un po' scorretti?

«È una questione di punti di riferimento. Le buone notizie non finiscono sui giornali, no? È così anche nel calcio: finisce che fa notizia solo chi non si comporta bene».
La prima panchina della vita se la ricorda?

«Vittorio Veneto-Pro Gorizia. Campionato 1986-87».
C’è un allenatore che secondo lei non ha avuto quello che si meritava?

«Mastipieni, allenava la Battipagliese».
Per riconoscerla, si dice sempre: «Del Neri, quello del Chievo». Le dà fastidio?

«No, ne sono orgoglioso».
Però poi ha fatto molto altro...

«Sì, ma se ricordano quel periodo straordinario non c’è niente di male, anzi. Io lo ricordo sempre con enorme piacere».
Del Porto non ha lo stesso giudizio...

«No, direi di no. Me ne sono andato deluso e arrabbiato. Mi hanno trattato come non meritavo».
Che cosa le hanno fatto?

«Dicevano che fossi razzista».
Razzista?

«Sì, dicevano che ce l’avessi con i giocatori di colore».
Ed era vero?

«Ma sta scherzando? Come faceva a essere vero? Al Chievo avevo avuto per tanti anni Luciano. Era solo un modo per colpirmi. Uno dei tanti».
Gli altri?

«Dicevano che fossi uno scansafatiche. Invece ho sempre lavorato con impegno. Non avrei potuto fare diversamente e non farei diversamente oggi. Era una scusa per farmi fuori».
Lei scansafatiche? Qui ha l’aria del generale...

«Appunto. Comunque non sono neanche un generale».
Se non è un generale, come ha trasformato Cassano?

«Antonio ci ha pensato da solo. Quando gioca non gli devo dire niente, se non di liberare la sua fantasia. È un fenomeno».
Come?

«È cambiato, è maturato, ho trovato una persona diversa rispetto a quella che avevo lasciato».
Migliore o peggiore?

«Migliore. Devo dire che era impossibile che non fosse migliorato...».
Lippi, purtroppo, non lo crede. Ma non crede neanche in Pazzini. Perché?

«Non lo so. Mi dispiace perché per me convocarli sarebbe il giusto premio per il lavoro di tutta la Sampdoria».
Correte più degli altri, giocate di prima, arrivate al tiro con tutti i calciatori. Sembra sentire parlare del Barcellona...

«Siamo umili. È la quantità al servizio della tecnica. È il carattere dei singoli a disposizione dei compagni. Fare uno scatto nel recupero, quando non dovresti farcela più. In questo sì, assomigliamo al Barcellona».
Ha mai pensato: «Sono il migliore»?

«Non ci riesco».
Che cos’ha Genova che le piace tanto?

«C’è un rapporto di stima con la società. C’è la voglia di programmare. C’è la credibilità che rappresentiamo. È un posto che permette di lavorare in libertà. È la cosa più importante della vita: nel lavoro, nei rapporti, in famiglia».
E la sua famiglia com’è?

«Numerosa. Immagini 15-20 persone. Tutti uniti. L’immagine è sempre la stessa: la sera di Natale. Qualunque cosa accada dobbiamo essere lì, è il nostro modo di essere un’identità unica. Se per qualcuno il Natale non è la stessa cosa, peggio per lui».
E lei che cosa fa quando torna a casa?

«Niente. È questo l’obiettivo del relax».
Quale scusi?

«Fare niente e avere tutto».
E lei ce l’ha?

«Quando torno a casa per riposarmi, sì. Poi ci sono giorni in cui è diverso».
Quali?

«Capodanno, per esempio».
Che fa a Capodanno?

«Mi trasformo, non sono quello che conoscete. Mia moglie a volte mi dice: “Se ti vedessero non crederebbero che sei tu”».
E lei che cosa risponde?

«Dico che nessuno sa e nessuno saprà che cosa faccio la notte del 31 dicembre?».
Che cosa fa?

«Non lo scriva, però: ballo, mi scateno. Non sono coordinato, ma me ne frego, quella è la notte in cui perdo i freni, non so perché: è sempre stato così, mi piace. È un rito personale.

Non lo scriva, glielo ripeto».
Ma come? Perché no?

«Perché non lo sa nessuno».E se lo dovesse sapere qualcuno che cosa succederebbe?
«Niente. Già, niente. Allora lo scriva, sì. Sputtaniamoci un po’».

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