Joe Frazier è morto a 67 anni, nella casa di Filadelfia, per un tumore al fegato diagnosticato un mese fa. Vinse l’oro ai Giochi di Tokyo 1964. Detenne il mondiale massimi(1970-1973), è entrato nella Hall of Fame nel 1980. Il record: 37 match, vinti 32 (27 ko), persi 4,un pari.Pugile dell’anno nel 1967,’70, ’71. Lascia 11 figli.
Chissà se il nero un po’ sgangherato che lo avvicinò quel giorno gli avrà mai chiesto scusa. Forse non sapeva, soprattutto non intuì, di avere davantiquellochesarebbediventato il nero principe degli Ercoli. L’uomo senza il quale Cassius Clay avrebbe persoundrappodelsuopreziosoalone aureo. Joe, Joe Frazier, Smokin’ Joe come lo chiamava il suo maestro, ossia ragazzo cuore e pugni, tutto fumo di rabbia, aveva appena posato la suascarpalucidasullosgabellodellustrascarpe. Erauntipodagliocchidolci, ma pungenti, fisico da armadio: più largo che alto. Era una sera di luglio a Philadelphia, la sua città, quella dove trovò tutto, danari, fama, famiglia, dopo essere scampato a una marcia vita nella Carolina del Sud. Frazier era nato a Beaufort il 12 gennaio 1944, secondo di 13 figli, a 5 anni lavorava nei campi, a 7 guidava il trattore, a 14 anni approdò a New York per lavorare come meccanico, a 15 era a Philadelphia come apprendista macellaio. Finché un reverendo della sua chiesa Battista non scovò un uomo d’affari che creò una società, la Cloverlay Corporation: si procurò l’adesione di 40 parrocchiani, ciascuno acquistò 88 azioni a 50 dollari l’una. Servì a garantire un contratto al pugile. E in pochi anni gli azionisti triplicarono e così i guadagni. Joe sapeva cosa fosse la povertà. L’ha sempre combattuta.
«Voglio accumulare montagne di dollari», raccontava sempre. Quella temeva, lo preoccupava più di ogni avversario, compreso Cassius Clay. Sì, lo chiamava Cassius Clay. E non Muhammad Alì come il linguacciuto di Louisville voleva essere ricordato. Sussurrava il nome con quel viso a forma di scatola quadrata, un po’ ruvido che ogni volta pareva attraversato da un graffio, che invece era un ghigno. Quel nero sgangherato lo avvicinò mentre Frazier si godeva il profumo della fama: tre anni prima aveva conquistato l’oro olimpico a Tokyo, battendo un tedesco, Hans Huber, pur con una mano slogata che fu ingessata dopo il match. Joe aveva appena battuto sul ring George Chuvalo, un tipo tosto e infido. Ma non bastava. Quello gli urlò: «Tu puoi battere tutti i Chuvalo del mondo, ma non Muhammad Alì. Alì ti prenderebbe a calci nel sedere». Era il 1967. Quattro anni dopo, nel Madison di New York, Smokin’Joe gli rispose con quel gancio sinistro che fu la firma di una storia e di un pizzico di leggenda. Quella notte Frazier si sbarazzò dell’ombra di Alì, ma entrò nella sua ombra dalla quale non uscì mai. «Io non sono uno stramaledetto zio Tom»,urlò un giorno imprecando a quel dannato Clay, che lo aveva infilato nella parte del Caino dei fratelli neri. Ecco chi sono, sembrò dire invece quando lo spedì altappetoinquelfamoso15˚ round.
Clay si rialzò a fatica, chiedendo supremo sforzo all’immenso orgoglio per finire il match. Ma tutti e due non immaginarono di aver lasciato qualcosa su quel ring: un quarto di longevità pugilistica. Clay andò all’ospedale per curarsi la mandibola, Frazier restò ricoverato una settimana per rigenerare un corpo provato. Le tv fecero incassi record e, per la prima volta, due pugili imbattuti si disputarono il titolo di campione del mondo dei massimi, guadagnando una montagna di danaro: due milioni e mezzo di dollari a testa, 55 mila dollari al minuto. Fra i tanti personaggi nel ring side, c’era anche l’irrequieta Zsa Zsa Gabor che si lagnò con se stessa. «Nonostante tanti combattimenti con i miei mariti,non sono mai riuscita a guadagnare così tanto». Burt Lancaster faceva il commentatore e, alla lunga, esclamò:«Joe non è un pugile, ma un carroarmato Sherman».
Frazier è stato il primo vincitore di Alì, uno dei pochi. Smentì tutti. Anche la profezia che Clay gli lanciò come una punta avvelenata. «Nessuno scommetterà che un battista può battere un musulmano». I tre incontri con Alì sono stati quadri d’autore. Il secondo fu una rivincita che raccontò il declino di Frazier dopo esser passato per i pugni di George Foreman, un mastodonte allora sottovalutato. «George lo ha trattato come uno yo-yo», raccontarono i giornali Usa. Frazier andò al tappeto sei volte prima di essere fermato. Ma il terzo match con Muhammad fu peggio. Lo chiamarono Thrilla in Manila, si combattè il 1˚ ottobre 1975.
In realtà una delle più atroci tragedie shakesperiane che la boxe raccontò. Due uomini si picchiarono fino a consumarsi dentro e fuori. Frazier venne fermatoalla fine del 14˚ round. Alì lo ricordò come la «Cosa più vicina alla morte che avesse provato». Eddie Futch, che stava nell’angolo di Frazier, gli prese la testona e disse: «Basta, Joe. Nessuno dimenticherà che tu oggi eri su questo ring». Più facile dimenticare contro chi avesse conquistato il mondiale: battè Jimmy Ellis, un altro piccolo carro armato, finito ko in 5 round a New York (16 febbraio 1970). «Ho visto all’opera due ronzini»,raccontò uno sprezzante Jack Dempsey, altra icona della boxe. Frazier si prese un’altra suonata da Foreman, prima di ascoltare la campana.Tre dei suoi figli (compresa Jackie l’avvocatessa che sfidò la figlia di Alì) ci provarono con la boxe. Lui continuò a coltivare la passione per la musica, girò il mondo con un complesso rock chiamato i Knockout s. Ma per tutti restò soprattutto l’ombra scomoda di Clay: l’Oggetto Immobile contro la Forza Irresistibile.
Il Philadelphia Daily News il giorno della vittoria su Clay, scrisse: «Joe’s the greatest». Non l’altro. Il tanto per far rodere il fegato ad Alì. A dispetto delle volte che toccò a Joe. Il fegato non gli mancava e non si è schiantato contro Clay. Non ce l’ha fattastavolta. Quasi un insulto del destino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.