«Nessun diritto alle coppie gay». Firmato Ratzinger

L’appello rivolto ai deputati cattolici: «Dovete dire no al progetto di legge»

«Nessun diritto alle coppie gay». Firmato Ratzinger

Andrea Tornielli

da Roma

C’è un documento divulgato nel luglio 2003 che porta la firma dell’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinale Joseph Ratzinger. S’intitola «Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali» ed è stato approvato da Giovanni Paolo II. Alcuni passaggi di quel testo, che fece scalpore ravvivando una vampata di polemiche estive, sono direttamente collegati al dibattito suscitato in questi giorni dalle dichiarazioni di Romano Prodi. Se infatti è vero che i Pacs riguardano tutte le coppie di fatto e che queste sono al 95 per cento composte da un uomo e una donna, è altrettanto vero che questi «patti di convivenza civile» sono richiesti e promossi soprattutto dalle organizzazioni omosessuali: la coppia di fatto eterosessuale, infatti, quasi sempre «sceglie» di non sposarsi e dunque di non avere diritti e doveri derivanti dal matrimonio. Lo stesso non accade per le persone dello stesso sesso e non è un caso se la polemica è scoppiata a causa delle assicurazioni date da Prodi al presidente onorario dell’Arcigay Franco Grillini.
«Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio – si legge nel testo firmato due anni fa dal futuro Benedetto XVI – significherebbe... offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità». «Le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali – afferma ancora il documento - sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso. Non è vera l’argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l’effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere – come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata – al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse».
Inequivocabile l’appello circa il comportamento che i parlamentari cattolici dovrebbero tenere su questa materia. «Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali – si legge nella nota – i politici cattolici lo sono in particolare, nella linea della responsabilità che è loro propria». Nel caso in cui la normativa approdi per la prima volta in Parlamento, il deputato cattolico «ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale».
Ieri è intervenuto sull’argomento anche il cardinale brasiliano Claudio Hummes, arcivescovo di San Paolo del Brasile, presente all’udienza di Benedetto XVI, che non ha nascosto la sua preoccupazione per il moltiplicarsi di normative che minacciano la famiglia. «Io non voglio entrare nello specifico del dibattito italiano a proposito del riconoscimento delle coppie di fatto, poiché spetta solo ai vescovi italiani intervenire in materia – ha detto –. Mi limito a fare un discorso più in generale, prendendo in considerazione quello che sta accadendo in tanti paesi del mondo.

E dico che c’è bisogno di molti appoggi affinché la famiglia possa realizzare sua missione e la sua vocazione. E quando dico appoggi intendo soprattutto appoggi normativi. Servono leggi adeguate a suo sostegno. È importante in prospettiva, per la società e il suo sviluppo».

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