«Nessun segreto Tutta la sinistra aveva contatti»

Ramon Mantovani, responsabile esteri di Rifondazione, che dice dello scoop di Repubblica?
«Che non è uno scoop perché i rapporti tra Rifondazione comunista e le Farc non sono un fatto recente né tantomeno un segreto. Abbiamo sempre fatto tutto alla luce del sole, lì ci conoscono tutti, anche le istituzioni. E poi non siamo i soli».
Chi altro c’è?
«In passato ma anche adesso, più o meno tutti i partiti di sinistra del mondo e dell’America Latina. Ma a lavorare per la pace tanti altri, la Comunità di Sant’Egidio per esempio».
Veniamo al dunque. Che rapporti aveva il Prc con le Farc?
«Siamo sempre stati loro interlocutori e consulenti nel processo di pace, ma anche quando si è trattato di sostituire le piantagioni di coca con altre colture. Tra l’altro, verso la fine del 2001, noi del Prc abbiamo favorito un incontro, poi tenuto nella prefettura di Palermo, tra l’Alto Commissario Onu per le politiche antidroga Pino Arlacchi e le Farc».
Però nel 2002 è ripresa la guerra e l’Onu ha inserito le Farc nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.
«Una cosa su cui continuo a non essere d’accordo, è una posizione politica. Per me Al Qaida è un’organizzazione terroristica, non loro. Comunque anche dopo il 2002 abbiamo cercato di far ripartire il processo di pace. Su richiesta dell’ambasciatore colombiano ci attivammo presso le Farc per far ripartire il negoziato, portandolo qui a Roma. Ma rifiutarono perché volevano che il governo trattasse in Colombia. Le racconto una cosa: le Farc avevano scelto la Costituzione italiana come modello da proporre a pace raggiunta».
Dei contatti chi era informato?
«Tutti, in primis il mio governo, inteso come governo italiano. Quindi lo sapeva Berlusconi, lo sapeva Prodi, come tutti i ministri degli Esteri».
Soldi, nickname, la Betancourt. Che mi dice?
«Quella dei nomi falsi è una stupidaggine. Tanto che ora leggo “Max e il Poeta”, ma a inizio agosto, quando questa cosa è uscita per la prima volta, erano “Ramon e Consolo”. Sui soldi per il soggiorno in Svizzera, la persona era gravemente malata e aveva lo status di rifugiato politico. E come lui ne abbiamo aiutati tanti altri. Sulla Betancourt poi solo retorica: se l’obiettivo è la liberazione, parlando con loro potevamo solo cercare di farli riflettere dicendogli che non eravamo d’accordo e che la cosa era dannosa per loro».
E cosa dice del dossier del governo colombiano?
«Le racconto un episodio.

L’8 o il 9 agosto sono stato intervistato in diretta dalla televisione colombiana, in collegamento con me c’era anche il ministro dell’Interno di Bogotà che mi ha salutato calorosamente. E, con me davanti, un giornalista gli ha chiesto del dossier».
E lui che ha risposto?
«Che non ne aveva mai sentito parlare. E allora, capirà, tenderei a fidarmi più di lui che di quello che dice Repubblica».

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