Nessuna rivoluzione ma difese da ridere

Quale è la sorpresa vera? La vittoria comoda della Juventus? La sconfitta pesante della Roma? La lavagna magnetica di Luis Enrique? La piedigrotta napoletana allo scalo di Capodichino nel rientro notturno di Lavezzi e soci? Le quattro sventole del Palermo all’Inter?

Quale è la sorpresa vera? La vittoria comoda della Juventus? La sconfitta pesante della Roma? La faccia rotonda di Antonio Conte da Lecce? La lavagna magnetica di Luis Enrique Martinez Garcia da Gijon? La piedigrotta napoletana allo scalo di Capodichino nel rientro notturno di Lavezzi e soci? Le quattro sventole del Palermo all’Inter? Il calcio è una cosa normalissima e passionale, resa complicata da allenatori e giornalisti. Chi annuncia rivoluzioni deve poi fare i conti con il pallone e con gli uomini, così la prima giornata di campionato, che sarebbe la seconda per i capricciosi motivi sindacali, ha offerto, come sempre, qualche colpo di scena che serve almeno a svegliarci dal torpore di un football italiano moscio e prevedibile. Non è il quattrotretre e affini a scuoterci, sono i risultati, spesso figli di episodi.

Innanzitutto vanno segnalate le espulsioni per intervento scorretto alle spalle del possessore di palla, dicesi fallo da dietro, una specie di avviso per i naviganti, giocate pure da duri ma non da vigliacchi; vedremo se il regolamento sarà applicato sempre e con tutti. La vittoria della Juventus ha una chiave importante di lettura: Andrea Pirlo. L'ex milanista sa mettere in zona gol chiunque, nell'evenienza il proprio portiere, è lui, dunque, l'uomo attorno al quale far crescere il gruppo che non ha, Del Piero e Vucinic a parte, qualità tecnica di una grande squadra anche se il suo direttore generale fa propaganda. Pirlo, per la prima volta nella sua fantastica carriera, non avrà fatica e logorio del turno infrasettimanale di coppa (potrà dedicarsi ai suoi vini, il Nitor su tutti) è questo un dato niente affatto marginale nell'economia bianconera; ma resta la sensazione di una Juventus diversa, per merito anche del suo allenatore che non spaccia football e che, voce del deserto, sa che cosa trasmettere ai suoi.
Ho scritto apposta, di Pirlo, «ex milanista» perché, ripensando alla prestazione dei campioni d'Italia contro la Lazio, è evidente che la partenza del campione del mondo ha tolto genialità e imprevedibilità al gioco rossonero che ha preferito, per ora, il muscolo al fosforo.

La Lazio, per l'appunto, si è liberata della zanzara Zarate e contro il Milan ha mostrato di poter essere una mina vagante, sempre che Reja non si faccia prendere da eccessive preoccupazioni, Hernanes centrocampista di sinistra per arginare Abate è una bestemmia. Gli ultratrentenni restano comunque punti fermi, non immobili, del calcio: Di Natale, Del Piero, Pirlo, Zanetti, Seedorf, voglio dire Inzaghi, Pellissier, Daniele Conti, Totti, Klose, sono promesse mantenute e non speculazioni di calciomercato. Questo per ribadire che anche in questo riavvio di giochi le conferme sono arrivate da molti dei soliti noti con alcune variazioni sul tema, direi l'argentino Moralez dell'Atalanta, il rumeno Torje dell'Udinese, lo spagnolo Angel della Roma.

Roma? Beh, se ci fossero ancora la famiglia Sensi, Ranieri e/o Montella, ieri sera l'Olimpico sarebbe stato il Colosseo e avrebbe ricoperto di fischi la squadra, l'allenatore e i dirigenti. Ma gli americani e lo spagnolo, Baldini e Sabatini sono i santini delle preghiere giallorosse anche se il caso Totti esiste e resiste e ieri Luis Enrique ha voluto tenere in campo il capitano per dimostrare che la Roma può perdere anche con il suo fenomeno.

È un gioco sbagliato, un autogol inutile, sabato a San Siro, contro l'Inter, secondo follia del calcio, Luis Enrique si gioca già il posto di lavoro. Ma Gasperini non sta meglio di lui. Anzi. Come inizio di campionato non male, ma le difese della Serie A fanno davvero ridere.

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