Nessuno ha il coraggio di fermare la corsa E la domenica è salva

Fiumi di parole, dopo. Anche lacrime, dopo. Ma neppure stavolta riusciamo ad inventarci niente, a ritrovare da qualche parte un guizzo di vera pietà, durante. Come sette giorni prima, ad Indianapolis, the show must go on. Massima partecipazione al lutto, i fischi sotto il palco contro Lorenzo, l’odioso spagnolo che si ostina a battere Valentino.
In una settimana due morti spaventose, un bambino di 13 anni e un ragazzo di 19, sulle piste del motociclismo. Non è un buon motivo per chiudere il motociclismo. Tutti gli sport hanno la componente pericolo, ce ne sono alcuni come la MotoGp che servono anche a cercare evoluzioni tecniche, persino in tema di sicurezza, per la circolazione stradale di tutti i giorni. Tagliamo corto: è da mammole ipocrite pretendere l’abolizione di una disciplina dopo il grave incidente. Si devono chiedere le massime garanzie per chi corre, questo sì. Ma non si può abolire dalla vita l’ipotesi disgrazia.
Detto questo, qualcosa di più e di meglio potremmo comunque esibire, come moltitudini di spettatori, come congreghe di organizzatori, come genere umano. Chiedo semplicemente: che cosa dobbiamo vedere di più orribile dell’incidente di Misano, per trovare e provare la sensibilità di spegnere lo spettacolo, almeno per una domenica? L’altra settimana dissero alcuni geni che l’incidente al povero tredicenne era capitato di mattina, in una gara di contorno, fuori dal circuito del Motomondiale. E pazienza se correva sulla stessa pista, davanti allo stesso pubblico: pare che la morte fuori dall’orticello sia meno morte. Che imponga meno imbarazzi morali. A Misano, però, cade anche questa avvilente scusa: Tomizawa è parte integrante del circo. Eppure, nonostante due colleghi gli passino sopra, in una scena che non cancelleranno mai dal proprio sguardo, nessuno reputa opportuno, giusto, umano fermare la gara.
C’è da restare di marmo, davanti alla freddezza e al vuoto di queste ore. La disgrazia passa via come routine. Organizzatori, giuria, addetti ai lavori, e pure il pubblico, che comunque resta al suo posto, nessuno sente la pulsione istintiva di dire stop. Lo sappiamo tutti che uno stop non restituisce la vita al ragazzo investito: ma almeno esprime tanto rispetto e tanta solidarietà. E magari persino un sincero dolore. Di fronte a un incidente del genere, chi ha più voglia di godersi sgasate e sorpassi?
Eccoli tutti quanti lì, quelli che conservano la stessa voglia, come se niente fosse. Misano rimuove il poveraccio dalla pista e continua la sua corsa. La Moto2 arriva tranquillamente al traguardo, quindi parte normalmente la MotoGp, in un tripudio di battimani. Qualche parola e qualche faccia di circostanza, ma il programma non si sposta di una virgola. Come sincera manifestazione di dolore, abolito lo champagne delle premiazioni. Quanto strazio.
Poi il solito teatrino. La grande giustificazione: non si poteva fermare tutto subito, perché nessuno sapeva niente di preciso sulle condizioni di Tomizawa. E come no: dopo quel genere d’incidente, tutti si pensava che se la sarebbe cavata con quindici giorni di gesso... Ma per favore, evitiamoci almeno la pena delle stupide bugie. Anche se il pilota non era morto subito, quell’incidente pazzesco imponeva la fermata della gara e magari - perché no, una volta tanto diamo spazio alla fantasia - tutti di corsa all’ospedale per stargli vicino. Invece, ordine d’arrivo regolare e via con la MotoGp. Neppure alle ore 14,19, quando l’atteso annuncio del decesso diventa ufficiale, qualcuno trova la forza e il coraggio (ma quale forza, ma quale coraggio: potrebbe essere la normalità) di fermare il gioco. L’impegno principale è tenere nascosta la notizia e permettere alla gara di concludersi regolarmente. Tutti al loro posto: piloti, tecnici, manager, telecronisti, miss e caloroso pubblico. Nessuno vuole perdersi lo spettacolo. Sì, in chiusura c’è pure spazio per i fischi all’odioso Lorenzo.
Nei commenti, si sente ripetere fino all’esaurimento la frase del giorno: «Purtroppo gli incidenti fanno parte del gioco». Gli incidenti sì. La nostra reazione no.

Come l’altra domenica a Indianapolis, come in febbraio ai Giochi di Vancouver per il povero slittinista, come anni fa a Imola per Senna e Ratzenberger, non siamo capaci di fermarci per un idolo, un collega, un amico che se ne va. Non ci piace che un idolo, un collega, un amico interrompa la nostra domenica. Neppure se muore. The show must go on. Lo spettacolo deve continuare. Ma è uno spettacolo vergognoso.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica