Nessuno ricorda che gli Stati Uniti diedero il colpo decisivo

Anche se oggi non lo si vuol dire, a sconfiggere la Ddr e gli altri regimi socialisti fu innazitutto il sogno americano

Nessuno ricorda che gli Stati Uniti diedero il colpo decisivo

C’è un silenzio assurdo, inspiegabile, intollerabile. È il silenzio sull’America. Perché l’anniversario della caduta del Muro di Berlino è la festa della democrazia, della Germania, dell’Occidente che vince sull’Oriente. Però gli Stati Uniti sembrano marginali, comprimari in uno scenario che invece era tutto loro.

C’è un filo di anti-americanismo strisciante che tiene fuori dalla ricorrenza Washington, come se l’amministrazione Bush e prima quella Reagan non avessero fatto niente. I tedeschi che buttarono giù il Muro erano americani. Non di passaporto, ma di identità. A sconfiggere la Ddr e poi a catena gli altri regimi socialisti fu il sogno americano inteso come ricerca della libertà. Dicono che i tedeschi dell’Est guardavano un metro oltre la cortina. Ecco, quel metro era comunque America. Perché gli Stati Uniti erano quello che sono, come ha scritto Christian Rocca qualche tempo fa: «Un lavoro che a volte soddisfa e a volte no; una famiglia e una casa; alzarsi la mattina, fare colazione e andare in ufficio. Questa è l’America. Poi si gioca, si scherza, si mangia, si litiga, ci si diverte. A volte si piange. Non sono solo rose e fiori in America. Ma ci sono gli amici, c’è il cinema, c’è l’amore, c’è la partita in tv. E fanculo quelli che ci stanno sulle palle. L’America prevede anche quelli. L’America è stata conquistata molto tempo fa. Poi gli americani l’hanno esportata. Con le navi, con i paracaduti, con la musica, con i film. Con i logo. Spesso anche con la Cia. Noi ce la godiamo da un bel po’, questa America. Ripeto: non parlo delle stelle e strisce, ma dell’insostituibile libertà di essere normali».

La gente della Ddr non aveva l’America e dal 9 novembre 1989 ha cominciato ad averla. Grazie a se stessa, a Gorbaciov, a Kohl, alla Thatcher. Però anche e soprattutto grazie all’America.

È lo stesso Paese che adesso i commentatori italiani e stranieri vogliono emarginare da quell’evento. Forse perché non era l’America chic di Kennedy, ma quella pragmatica e autentica di Reagan e Bush padre. È come se regni un pregiudizio, un imbarazzante preconcetto a posteriori che oscura gli Stati Uniti di quel tempo esaltando soltanto quelli che fanno comodo: allora il discorso alla porta di Brandeburgo di Jfk sarà sempre ricordato come un grande momento della Guerra Fredda, allora il comizio di Obama dell’estate scorsa, resterà nella memoria della sinistra internazionale come il nuovo capitolo del sogno americano, mentre Reagan e Bush vengono snobbati, triturati come semplici comparse di una pagina leggendaria del Novecento. L’hanno fatta loro quella leggenda, invece. Fu Reagan a chiamare il comunismo «l’Impero del male». Fu lui che per primo in pubblico parlò al mondo sovietico: «Signor Gorbaciov, abbatta questo muro». Furono lui e il suo successore a lavorare per la rivoluzione globale dell’anti-comunismo. Il reaganismo non piaceva agli europei e forse non piace ancora. Perché non è né il kennedismo, né l’obamismo. Fu semplicemente efficace, astuto, vincente. Parole e fatti, parole e politica vera. Cioè quello che non piace ricordare perché non sfondano nella retorica, ma costruiscono la storia. Ecco perché nessuno o quasi, vent’anni dopo, lo ricorda.

Nessuno o quasi, adesso, ha la dignità di ripetere quello che la storia ha detto: l’America delle due amministrazioni repubblicane che hanno comandato negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta aveva capito che l'economia sovietica sarebbe crollata da sola. E con lei sarebbe crollato il consenso e il regime. Così silenzio.

Guardiamo le foto di Gorbaciov, di Kohl, della Thatcher, dei berlinesi dell’Est che prendono a picconate il socialismo reale, e non ricordiamo quale fosse l’obiettivo: era andare dall’altra parte del mondo, dove c’erano gli Stati Uniti. Lo Stato, l’idea e la coscienza: liberi di essere se stessi, liberi di essere noi. Americani a prescindere dalla nazionalità.

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