Nessuno sulla tomba, Manzoni dimenticato

«I docenti da Trieste alla Sicilia mi chiedono di poter accompagnare le classi sui luoghi di Alessandro Manzoni. Domandano della casa dello scrittore, della chiesa di Padre Felice e delle lapidi in sua memoria presenti in città. A nessuno viene in mente la tomba e sono convinto che questo sia un limite del nostro popolo, che teme il cimitero». Gianmarco Gaspari, direttore del Centro studi manzoniani, non ha dubbi sul significato espresso dai sepolcri dei grandi, da quell’Ingenio Claris osannato ma non sentito nella coscienza latina, nonostante Cicerone nel suo De Senectute abbia detto che nell’uomo di chiaro ingegno le opere migliori spesso arrivino proprio nella vecchiaia. Quindi, che vengano testimoniate anche dal valore della sua ultima dimora. La sepoltura.
Sono le cinque della sera al Monumentale. Nel Famedio d’entrata - da famae aedes: tempio della fama - presso il sarcofago del grande Alessandro, che fondò il romanzo storico, non c’è più storia. Traduzione: non sussurra una rima di confortante bellezza neppure un’anima viva. All’uomo, che sciolse all’urna di Napoleone un canto che non «morrà», come scrisse nell’intramontata Cinque Maggio, cantano ora solamente i piccoli zampilli d’acqua in basso, nel piazzale.
Due corolle finte, un lume elettrico, una microcandelina fatta a mazzolino di rose, celata in un angolo con timidezza. Spenta. Dalla finestra del Famedio «quest’opera d’arte che è il nostro cimitero, fiore all’occhiello per la città, espressione estrema del tratto incantevole del Liberty» - racconta Gaspari - si estende tra il verde e il dolce verso dei rivoli di fontanelle. Il luogo dei ricordi milanesi espande silente la meraviglia di statue distese nelle pose di Eleonora Duse. Storici e attori vengono a osservarle per studiarne i gesti drammatici, che non spingono alla rinuncia ma all’emulazione per i fatti futuri. A una historia rerum, che presagisca il corso delle cose dedicato ai posteri, cui spetterà manzonianamente «l’ardua sentenza» sul ciò che è stato.
«Fino a qualche anno fa - prosegue Gaspari - il 22 maggio, data della morte di Manzoni, gli assessori alla Cultura portavano una corona sulla sua sepoltura. Ora si è perduta anche questa tradizione». Ma ciò che la nostra coscienza capillare di popolo non solo non ha perduto, ma non ha mai acquisito, è proprio il concetto di trarre dal mausoleo di un personaggio l’ispirazione per continuare l’esempio delle sue res gestae nella nostra vita quotidiana, coscienti di ereditare un filo di coraggio che passa di cuore in cuore.
Che differenza con il noto Pere Lachaise di Parigi, che ha persino visita virtuale in Internet! Code per accedere alle lapide di Proust, alle cappelle di Oscar Wilde e Allan Kardec. Tripudi di fiori freschi e filari di lumi splendenti giorno e notte. «Sì, una bella differenza. Recentemente l’Electa ha pubblicato un catalogo dei più interessanti cimiteri d’Italia, proprio per favorire un tipo di turismo che non scordi il luogo di riposo dei nostri uomini illustri».
Sotto il Famedio, verso le 18 passa un custode. Dice che almeno da Manzoni qualcuno ogni tanto viene. Almeno da lui, che con I Promessi Sposi contribuì all’Unità d’Italia. Sono più turisti che italiani, attratti dall’opera d’arte che la tomba rappresenta, non dallo spirito dell’uomo che lì giace per ispirare la sua forza all’agire. «Restando nella letteratura, come piacerebbe a Manzoni, è interessante rimarcare un dato. Quando Foscolo scrisse i Sepolcri in un certo senso arrivò ultimo. Già da mezzo secolo gli inglesi si occupavano di letteratura cimiteriale. Era una strategia di comunicazione delle virtù della loro terra, comunicazione che, nonostante il Foscolo - di nascita greca fra l’altro, quindi non del tutto italiano - noi iniziamo a concepire solo ora».


Bella, con le due donne drappeggiate nello scuro metallo ai lati della data della morte, in ordine, ma essiccata nella memoria come i pochi boccioli che la adornano, la culla mortuaria di Alessandro è il trono di una testimonianza d’arte e di storia, che scrive ai posteri dallo spazio sconosciuto della morte. «Basta con la diffidenza. Visitiamola» è la preghiera di Gianmarco Gaspari. Non per piangere. Il sepolcro non è solo un baccello di lacrime, ma la postazione di staffetta che di mano in mano passa il testimone.

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