Politica

«A New Orleans ci sono migliaia di vittime»

Gli sciacalli entrano in azione e i cittadini armati di fucile si trasformano in vigilantes. Mobilitata la Guardia nazionale

Guido Mattioni

Se l’agonia è qualcosa di peggio della morte, allora bisogna ammettere che New Orleans è definitivamente in agonia. Una sofferenza resa ancora più lenta e lancinante dal numero incerto delle vittime. Ieri il sindaco della città, Ray Nagin, ha dichiarato che le persone uccise dalla furia di Katrina sono «centinaia, forse migliaia». Quello che si leva in queste ore dall’ormai «ex città» più musicale del mondo, è soltanto uno stonato e doloroso rantolo prolungato, che stringe il cuore. È il grido estremo, terminale, di un luogo un tempo straordinariamente vivo, sopraffatto ogni minuto che passa da nuove emergenze andate a sovrapporsi alle precedenti; assediato dall’acqua marrone, striata da macchie cangianti di nafta e di chissà cos’altro che continua a salire minacciando anche i quartieri rimasti miracolosamente asciutti, come il pittoresco Vieux Carré; inorridito da segnalazioni sempre più numerose di cadaveri galleggianti che però non c’è il tempo di recuperare, perché è ai vivi che bisogna pensare; spaventato dai tanti, troppi suoi «figli» che nella tragedia non trovano di meglio da fare che rubare e saccheggiare; e infine angosciato, soprattutto, dal buio fitto che si sta addensando sul suo stesso domani. Ammesso che ci sia, un domani, per New Orleans.
Se ci sarà, sarà comunque lontano. «Crediamo che la gente potrà tornare a casa non prima di tre, quattro mesi, forse per Natale», ha ammesso con disarmante sincerità il sindaco Ray Nagin, intervistato alla popolare trasmissione tv Good Morning America. Ed è racchiuso tutto in questa frase (ben oltre l’elenco delle vittime e dei danni materiali, sicuramente peggio delle immagini del disastro rimandate ossessivamente dalle televisioni) l’autentico e immane dramma di New Orleans.
Il dramma di persone che si sono viste portare via tutto quello che avevano. Dall’uragano, ma anche dagli sciacalli, che hanno voluto girare il coltello nella piaga di questa grande disgrazia. Decine di negozi sono stati saccheggiati nel French Quartier e nel resto della città, che è stata letteralmente presa d’assalto da ladri più o meno improvvisati. In alcuni casi hanno partecipato anche alcuni poliziotti. In questa situazione di anarchia, diversi cittadini si sono trasformati in vigilantes, pattugliando le strade dei loro quartieri con fucili e pistole per garantire l’ordine pubblico. In alcune strade risparmiate dall’inondazione i proprietari si sono posti davanti ai loro negozi, con i fucili in mano. alcuni hanno esposto la scritta «You loot, I shoot» (Tu saccheggi, io sparo).
C’è poi il dramma del milione di suoi cittadini fuggiti in automobile dalla città per scampare alla furia dell’uragano Katrina e che ora si trovano in qualche posto all’interno dello Stato, o in uno di quelli confinanti.
E non basta. A loro, tra breve, si aggiungeranno anche quelli che erano rimasti in città, destinati ad essere oggetto di un esodo forzato, biblico, senza precedenti, deciso nelle ultime ore dalle autorità. Perché non è possibile restare in una città senza acqua né cibo, senza corrente elettrica né un posto asciutto dove dormire, senza strade su cui passare né ospedali dove farsi curare.
Dovranno così essere portate da qualche parte le 1.200 persone recuperate fino a ora dagli elicotteri mentre si sbracciavano sui tetti delle loro case sommerse. Dovranno trovare letti, medicine e infermieri anche i pazienti degli ospedali cittadini, ridotti ormai a inservibili scatoloni di vetro. Dovranno lasciare la città per andare altrove (si dice nello stadio di Houston, in Texas, a 500 chilometri) anche i 10mila poveri, anziani e homeless che avevano trovato rifugio nel vanitoso Superdome, la tecnologica arena del football che senza più corrente e servizi igienici si è trasformata in una torrida e puzzolente prigione da incubo. E una prigione, ma vera, di quelle con le sbarre, andrà trovata al più presto per le centinaia di carcerati sfollati dal penitenziario finito anch’esso sott’acqua. Per ora li hanno «parcheggiati» - ulteriore e micidiale mina con la miccia accesa - su uno svincolo autostradale emerso dalle acque, tenendoli costantemente sotto il tiro dei marshall armati fino ai denti.
Intanto, di risultati concreti se ne sono visti pochi. Sono falliti i tentativi del Genio militare che ha vanamente «bombardato» con giganteschi sacchi di sabbia e blocchi di cemento, nel disperato tentativo di richiuderle, le falle apertesi negli argini e da dove l’acqua continua ad affluire in città. Spingendo il sindaco Nagin a criticare la mancanza di coordinamento dimostrata da Protezione civile, Guardia nazionale, Croce rossa e organizzazioni di soccorso locali e statali. Polemiche che ne hanno attirate però altre, contro l’amministrazione attuale e quelle precedenti, per non aver previsto piani d’emergenza per una città costruita sotto il livello del mare e di cui da anni si conosceva la portata del pericolo che la minacciava.
Polemiche che però, di fronte all’emergenza, al rischio epidemie e ai banditi di strada servono ben poco. Tanto che per New Orleans in agonia, il governatore della Louisiana, Kathleeen Blanco, non si è sentita di chiedere altro che «una preghiera».

Si fa, con i moribondi.

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