Da New York a Porto Venere la vera storia di Beghin

Da New York a Porto Venere la vera storia di Beghin

Lo zio Giovanni Canese, ovvero Beghin, era nato a New York nell'anno 1892. Intorno a quel periodo il nonno Domenico Canese e la nonna Laurina Sturlese erano emigrati in America dove, nel 1894, era nata ad Hoboken, nello stato del New Jersey, la zia Angela.
In quella località è stato girato, nel 1954, il film «Fronte del porto» diretto da Elia Kazan ed interpretato da uno strepitoso Marlon Brando, e vi è nato Frank Sinatra nel 1915.
Ad Hoboken, il nonno Domenico aveva aperto un piccolo opificio per la confezione di tappi di sughero. I nonni avevano avuto già un figlio, il più vecchio dei fratelli, chiamato Antonio (vulgo Giuseppe), nato a Porto Venere nel 1887: pertanto, quando tornarono, di figli ne avevano tre.
Poi misero al mondo la zia Rosetta nel 1900, la mamma Tilde nel 1905 e lo zio Gigio nel 1907, oggi tutti scomparsi. Aprirono, ove ora è ubicata «La Posàa» dei Maietta, un'osteria che chiamarono «Italo Americana», a memoria della loro attraversata sull'Atlantico.
Lo zio Beghin, probabilmente così soprannominato perché alla sua venuta in Porto Venere non era in grado di parlare correttamente l'italiano, divenne un personaggio caratteristico del borgo.
Piccolo di statura, con un bel viso dai lineamenti minuti, portava spesso un berretto stile coppola.
Fumava le «Giubek» e non disdegnava, anzi amava sin troppo, un bicchiere di vino. Lo amava tanto che quando fu ospite nel rigoglioso vigneto della sorella Rosetta in «Giaccherino» di Pistoia, dopo qualche giorno quello spirito arguto del mezzadro, il Bartoletti, celiò: «Se il Signor Giovanni sta ancora qui me lo finisce!!».
Aveva preso parte alla «Grande Guerra», nel corso della quale era rimasto ferito alle gambe dalle schegge di una granata nemica.
Fatto prigioniero, in preda al delirio e ad un'arsura terribile, chiese, balbettando, un poco d'acqua (probabilmente fu l'unica volta che ne sentì il bisogno!!), ma gli fu risposto con un colpo sferrato sul capo col calcio di un fucile.
Quando riuscì a fuggire, si nutrì con rape, bucce di patate e vermi: pensò che in qualche modo dovesse continuare a vivere. La nonna Laurina aveva ormai perso ogni speranza di riabbracciarlo e si racconta che un mattino s'imbarcasse, con l'animo angosciato, sul vaporetto portando con sé un mazzo di fiori, per andare incontro al feretro del figlio, ma la sorte fu benigna e Beghin visse. Alla morte della nonna Laurina divenne titolare della trattoria «della Marina» (oggi del pronipote Antonio Canese, figlio di Angioletto) e si era preso il compito di aprire i tartufi di mare, mansione che svolgeva in maniera abile e rapida.
A volte serviva in tavolo. Si presentava agli avventori vestito di una linda camicia bianca, pantaloni ben stirati tenuti in vita da un paio di bretelle, tovagliolo bianco appoggiato sulla spalla destra e con i radi capelli riportati in modo tale da sembrare incollati alla testa. Ma, ahimè, alla prima richiesta di un piatto di patatine fritte i capelli si drizzavano(pareva che fumassero.....!!), il tovagliolo cadeva in terra nel mentre borbottava: «Cristo den Dio,.... Cristo den Dio».: insomma, un cameriere alla Charlot. Non si sposò, né ebbe amori a quanto si sappia (la zia Rosetta soleva celiare sulla sua illibatezza..!!).


Quando nel 1966 morì, assistito amorevolmente da Angioletto (con la moglie Lola) e dalla Maria, figli del fratello Giuseppe, portava nelle gambe le schegge della granata nemica e, nel portafoglio, la fotografia di un nipote, forse il prediletto.
Al camposanto l'immagine che lo ritrae con un viso corrucciato e la coppola in testa, lo fa rassomigliare a un «gangster americano».

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