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«New York torna nel mirino del terrorismo» Secondo il centro d’intelligence Stratfor, cellule di hezbollah agli ordini dell’Iran sono pronte a colpire obiettivi sensibili nella Grande Mela

«New York torna nel mirino del terrorismo» Secondo il centro d’intelligence Stratfor, cellule di hezbollah agli ordini dell’Iran sono pronte a colpire obiettivi sensibili nella Grande Mela

New York è di nuovo nel mirino dei terroristi, ma questa volta Al Qaida non c’entra. Secondo il centro d’intelligence statunitense Stratfor, considerato l’ombra della Cia, gli Hezbollah potrebbero colpire la Grande Mela per rappresaglia a un eventuale raid americano contro gli impianti nucleari voluti dal governo di Teheran oppure, ed è l’ipotesi più probabile, per vendicare Ardeshir Hassanpour, lo scienziato nucleare ucciso in Iran dal Mossad lo scorso gennaio.
Un’operazione spettacolare che ha innescato una guerra segreta tra i servizi israeliani e americani da una parte e quelli iraniani del Mois (il ministero dell’Intelligence e della Sicurezza) dall’altra. Improvvisamente sembra essere ritornati ai tempi della Guerra Fredda con l’Unione Sovietica: come allora nessuna delle potenze può permettersi una guerra convenzionale; come allora si aprono canali negoziali mantenendo però l’opzione di un intervento militare; come allora si usano strumenti alternativi per indebolire l’avversario: uccisioni mirate, guerriglia, sabotaggio, attentati, operazioni psicologiche. L’America cerca di destabilizzare il regime degli ayatollah, Teheran risponde fomentando la violenza in Irak e, all’occorrenza, in Libano, come già accaduto lo scorso anno.
Fred Burton, vice presidente del dipartimento antiterrorismo della Stratfor, spiega al Giornale: «Una delle caratteristiche dei confronti tra servizi segreti è la reciprocità: se tu fai fuori uno dei miei uomini, io ne ammazzo uno dei tuoi. E l’esperienza dimostra che gli iraniani impiegano dalle quattro alle sei settimane per portare a compimento la ritorsione». Nel 1992 il Mossad uccise il leader degli Hezbollah Abbas Musawi e 31 giorni dopo un commando fece esplodere l’ambasciata di Israele a Buenos Aires. Nel 1994 una strage di guerriglieri per mano degli israeliani fu «compensata» con un’autobomba al Centro ebraico della capitale argentina. Nel 1995 due funzionari del consolato Usa di Karachi vennero eliminati in risposta all’eliminazione di un agente segreto di Teheran.
Che l’Iran intenda vendicare lo scienziato nucleare è scontato, la questione è come. «Se la missione sarà affidata al Mois, gli agenti di Teheran si limiteranno ad assassinare qualche personalità legata al Mossad - spiega Burton - ma se verrà attribuita a gruppi esterni lo scenario di una strage diventa molto probabile». E allora, ecco New York con un attentato devastante simile a quelli condotti oltre dieci anni fa a Buenos Aires, che costarono in tutto 116 morti e 350 feriti. «Sono a rischio la rappresentanza e l’ambasciatore israeliano all’Onu, nonché i tanti centri ebraici della Grande Mela». D’altronde è impossibile proteggerli tutti; basta un kamikaze su un furgone pieno di esplosivo per insanguinare e terrorizzare una città che solo ora inizia a dimenticare il dramma delle Torri Gemelle. E che resterebbe nel mirino anche in risposta a un eventuale blitz dell’aviazione americana sulle centrali nucleari iraniane.
Lo scorso 8 febbraio il leader supremo iraniano Ali Khamenei ha lanciato un avvertimento molto chiaro: «Se attaccati, le nostre forze colpiranno in tutto il mondo». Alcuni scenari sono noti: una recrudescenza in Irak è persino banale, attacchi alle petroliere nel Golfo Persico molto probabili; pochi però avevano pensato a una vendetta direttamente negli Usa.
«Cellule degli Hezbollah sono insediate da tempo sul territorio americano», aggiunge l’analista della Stratfor. «Hanno bisogno di soli due giorni per attivarsi». Conoscono già gli obiettivi e le modalità di un piano di azione che, a quanto pare, riguarderebbe più città, ma soprattutto New York, che dopo l’undici settembre è diventata il simbolo della vulnerabilità dell’Occidente.
Osama Bin Laden ha fatto scuola: se vuole colpire o solo provocare il Grande Satana americano deve agire qui.

Nella società della comunicazione l’effetto, purtroppo, è assicurato.

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