Incluso a pieni voti nella lista tremontiana dei «cialtroni» incapaci di spendere i fondi Ue per il Sud, il governatore della Puglia ha perso la trebisonda. Anziché replicare a tono alla garbata giornalista de La Stampa che gli chiedeva conto dei suoi acclarati demeriti, Nichi Vendola ha dato in escandescenze. Doveva semplicemente spiegare perché sta mandando in fumo 3.064 milioni di euro destinati alla Puglia se solo la Regione si degnasse di approntare un decente piano di spesa. Ripeto: seimila miliardi di vecchie lire che Bruxelles è pronta a versare sull’unghia in cambio di uno straccio di idea su come utilizzarli.
Beh, invece di dire qualcosa di intelligente, Vendola ha minacciato la secessione dal Paese. Imbufalito ha detto: «Al Sud, sta montando la rabbia: sento dire adesso basta, meglio separarsi dal resto dell’Italia». Non è ancora chiaro se pensi a una solitaria Repubblica di Puglia o a un’uscita collettiva da Napoli a Palermo, Sardegna compresa. In attesa di capire se si punti al trasloco del tacco o dell’intero mezzo stivale, spiego la ragione primaria del travaso di bile.
A rodergli particolarmente le budella è, infatti, la decisione di Giulio Tremonti di affidare la somma nelle mani di Raffaele Fitto: sia il ministro delle Regioni - vista l’insipienza vendoliana - a fare il programma e presentarlo all’Ue. Ma Fitto, agli occhi tardo comunisti di Nichi, ha il grave difetto di essere del Pdl e pugliese. Quindi avversario politico e rivale regionale. Un affronto che gli ha fatto tintinnare l’orecchino al lobo. «Se bloccano quei fondi per la Puglia - ha detto il governatore dimezzato - è come scoppiasse la bomba atomica».
Vagli a spiegare che a bloccarli è la sua inadeguatezza e che compito di Fitto è sbloccarli. Ma siccome i soldi sono soldi, il solo pensiero che a maneggiarli siano altri, lo manda in bestia. Non sia mai che Fitto li spenda bene e la Puglia ne ricavi vantaggio. Che ne sarebbe di Nichi se accadesse? La fine della luna di miele con i pugliesi già durata cinque anni, il brusco risveglio dal sogno di farsi capataz dei conterranei per i prossimi dieci emulando il regno di Formigoni in Lombardia, l’incubo che il suo pavoneggiarsi da statista si riveli per quello che è: un bluff impastato di retorica, chiacchiere e abissale vanagloria.
Ecco perché l’intervista, a mano a mano che procede, si libra nel surreale. Anziché individuare una strategia per riacciuffare il denaro Ue, evitandone lo storno verso Paesi più concreti, Nichi si autosviolina.
«Sono appena stato a Shanghai e sa perché?», chiede all’intervistatrice. Pare di vederlo mentre pitoneggia la giornalista cercando di imbambolarla. Segue un attimo di silenzio denso di mistero, poi riprende: «La regione più industrializzata della Cina chiede a noi (pugliesi, ndr) come risolvere i suoi enormi problemi di smaltimento rifiuti, ripulitura delle acque, qualità dell’aria». Già. Per tutto il Celeste Impero, da Shanghai a Pechino, è tutto un invocare: «Ven-do-la, plego, da-le a noi, tua licet-ta per smalti-le la mon-ne-zza».
Con che faccia Nichi evochi proprio i rifiuti per vantare benemerenze, non si capisce. La Puglia è una pattumiera a cielo aperto. Per il Corpo forestale dello Stato è il regno delle discariche abusive. Si contano a centinaia, mentre quelle ufficiali sono in via di esaurimento. Il 60 per cento delle cavità naturali (le meravigliose grotte pugliesi) è ricettacolo di rifiuti: auto, rottami, inquinanti vari. In base al rapporto di quest’anno di Legambiente, la terra governata dal redentore della Cina occupa saldamente il secondo posto nel ciclo illegale dei rifiuti, è al top per i traffici internazionali dei rifiuti in entrata o in uscita, imperano le ecomafie. Il tutto per il caparbio rifiuto di Vichi, imbevuto di ecologismo pecoraroscaniesco, di utilizzare i termovalorizzatori dei quali ha ordinato il blocco.
Quanto alle acque, meglio stendere un velo pietoso. La Regione è titolare del più noto acquedotto d’Italia - quello pugliese, appunto - che è anche il più bucherellato. Gli sprechi sono mastodontici. Nonostante ciò Vendola si è messo alla testa del movimento che vuole impedirne la privatizzazione - e modernizzazione - suggerita dal governo. Se è con questo bagaglio che Vichi darà una mano alla Cina, il pericolo giallo è bello che risolto: il lanciatissimo Paese si inabisserà nella preistoria e chi s’è visto, s’è visto.
Per li rami della strampalata intervista, trova anche spazio la protesta di Nichi per le farragini burocratiche che ostacolano le grandi opere. Non è perciò colpa sua se non gli riesce manco un brogliaccio per intercettare i tre miliardi e passa di fondi Ue. Che le scartoffie siano di inciampo, non ci piove. Basterebbe però attrezzarsi e ingaggiare qualche fine cervello sul mercato - se non ce l’ha in casa -, anziché piagnucolare a mezzo stampa. È nel Mezzogiorno che l’uso dei finanziamenti europei non decolla. In Lombardia, con gli stessi ostacoli, si utilizzano che è una bellezza.
In conclusione, messo di fronte alle difficoltà, il governatore, anziché di rimboccarsi le maniche, prende una scorciatoia da Bossi dei poveri: urla che il Sud è stufo e minaccia la secessione di Bari. Ridicolo se non fosse penoso. Se già ciurla con lo Stato alle spalle - e con l’Ue che gli offre tre miliardi su un vassoio d’argento - figurarsi come se la caverà domani con la sola consulenza di Lecce, i consigli di Foggia, i punti di vista di Brindisi. Può darsi però che abbia ragione lui. Seceda. Sarà la volta che, messo alle strette, proverà almeno a cavare un ragno dal buco.
Adesso, comunque, dà solo prova di strafottenza smargiassa per nascondere impreparazione e impotenza. È il limite delle classi dirigenti del Meridione. Mentre l’Umberto vaneggia di autodeterminazione, ma almeno lo fa da una posizione di forza, Vichi fa altrettanto senza neanche avere un santo cui votarsi. E dell’Italia - la vera vittima dei tornei verbali dei politici - chissene importa. È il corpore vili che da destra e da sinistra si tagliuzza a piacimento.
Quando Vendola nel 2005 fu eletto per la prima volta governatore, pianse. «È gioia?», gli fu chiesto.
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