Mentre l'Italia si godeva le sue gite fuoriporta e le sue buche al golf, in un'altra Italia si festeggiava la Pasqua nel surreale e purtroppo abituale clima di minacce, di paura, di proiettili allusivi, ma anche di eroiche ribellioni. Dovremmo tenerne conto, quando restiamo basiti davanti ai reportage sulle elezioni al tritolo di tanti luoghi remoti, sempre alla ricerca di una pace e di una democrazia impossibili. Da noi basta una processione di paese. Una di quelle processioni del profondo Sud, bellissime e coloratisssime, cariche di tradizione e di rito, ma proprio per questo palcoscenico ambitissimo da boss e picciotti delle tante mafie.
A Sant'Onofrio, un borgo del Vibonese con consiglio comunale sciolto per i soliti motivi, da tempi lontanissimi si aspetta per Pasqua l'Affruntata, una rappresentazione che porta in giro per le strade del paese tre statue. Quella della Madonna, velata di nero, raggiunge la piazza attraverso un proprio percorso, mentre quella di Gesù arriva dalla parte opposta. La statua di San Giovanni, invece, continua a fare la spola tra madre e figlio, in un crescendo parossistico che surriscalda gli animi e la devozione. Purtroppo, non solo: solletica in modo irresistibile anche l'orgoglio e il narcisismo dei vari potentati locali, che difatti fanno a gara per piazzare i propri uomini nei ruoli chiave della processione, tra i portatori delle statue. Il marketing della ndrangheta è molto chiaro e semplificato: in tutti i posti chiave, ci va il più forte. A portare Gesù e la Madonna ci devono essere loro, che come noto sono persone animate da devozione e misticismo, non a caso alternano raffiche di mitra a pater-ave-gloria, scambiando evidentemente da sempre il Padre per il Padrino.
Non è un evento eccezionale che nelle tante processioni del nostro Sud ci sia la zampa rapace e prepotente dei mafiosi. L'evento davvero eclatante, per la Pasqua 2010, è se mai che la Chiesa s'è stufata di subire. Alleluia, anche questa è resurrezione: della dignità. Ancora una volta, dietro al gesto c'è monsignor Luigi Renzo, vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, già noto per i suoi valorosi sussulti di ribellione contro lo strapotere dei farabutti e contro la rassegnata apatia dei cristiani. Un eroe italiano, verrebbe da dire, se non fosse che ormai la definizione viene usata anche per i vincitori del Grande Fratello e per Antonella Clerici, con tutto il rispetto.
Comunque: il vescovo negli ultimi tempi è stato chiaro, con i suoi preti. Basta con l'abitudine di accettare supinamente la volgare e scandalosa invadenza dei criminali durante le celebrazioni religiose. Anche se così s'è fatto per secoli, anche se suona a offesa mortale, bisogna voltare pagina. È il momento di togliere ai mafiosi qualsiasi alibi e qualsiasi copertura morale: deve essere chiaro che sono fuori dalla Chiesa e con la Chiesa non hanno nulla da spartire. Sulla questione, proprio in questi giorni di anniversario, risuona ancora altissimo il grido terribile di papa Wojtyla nella Valle dei Templi, quando pretese dai cristiani un taglio netto con una certa cultura e avvertì i mafiosi che l'inferno esiste, ma soprattutto li attende con ansia.
Siamo a Sant'Onofrio: avvicinandosi Pasqua, il priore della Confraternita che organizza la processione, Michele Virdò, per tradizione un laico, decide assieme al parroco, don Franco Fragalà, di alzare le barricate contro i portatori di statue infiltrati dalla n'drangheta. Il vescovo è stato chiaro, loro condividono. Un gesto che sembra normale, ma non nell'altra Italia, dove ogni giorno e ogni gesto devono fare i conti con altre logiche e altri equilibri. Anche questa è tradizione: nella notte della vigilia di Pasqua, due colpi di pistola vengono sparati contro la casa del priore. Non sono pallottole vaganti: sono un messaggio chiaro e diretto delle cosche, talmente devote al Signore nostro Dio da non riuscire poprio a subire l'esclusione dall'Affruntata.
Dopo rapida consultazione con il vescovo, parroco e priore decidono senza indugio che così non si può continuare. Non esiste che una processione religiosa diventi terreno di scontro per gangster. Almeno la processione. L'Affruntata viene sospesa, a Gesù e alla Madonna viene risparmiata l'umiliazione. Sicuramente, dalle amene località dei centri-benessere e degli agriturismi, molti italiani avranno qualcosa da ridire: la solita paura, nessuno che si ribelli, l'hanno data vinta alle cosche. La processione cancellata come segnale di resa. Sì, siamo tutti molto coraggiosi, con la pelle degli altri. Ma in questa Pasqua strana e tribolata, è bello leggere nella storia di Sant'Onofrio anche il lato migliore. Ci sono segnali di apparente debolezza, proprio come questo, che in realtà sono più fragorosi di tante pagliacciate propagandistiche di finto coraggio, con bandiere alle finestre e striscioni zeppi di slogan consunti. La Chiesa non ha schierato guardie del corpo e agenti della security armati fino ai denti. Semplicemente, finalmente, ha detto no.
Adesso tocca al famoso Stato, che da sempre vorrebbe riconquistare i territori persi: l'occasione è altamente simbolica. Non è più una semplice processione: è una sfida. L'Affruntata potrebbe andare in scena in una prossima domenica, a certe condizioni e con certe garanzie, sotto la protezione di carabinieri e agenti.
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