Niente calcio, siamo islamici Vietati i mondiali in Somalia

A Mogadiscio vige la «sharia» e gli integralisti hanno spento tutti i televisori e i maxi schermi nelle strade della città

Fausto Biloslavo

L’ordine islamico regna a Mogadiscio e vieta di guardare le partite dei Mondiali di calcio in piazza, su improvvisati maxi schermi. I miliziani di Allah hanno sparato in aria per disperdere centinaia di tifosi, che si erano riuniti agli angoli delle strade per assistere alle prime partite. I televisori, o schermi più grandi, erano spesso appesi agli alberi della città, ma le corti islamiche hanno tagliato l’energia elettrica prima del calcio d’inizio dei Mondiali. Ieri i tifosi sono scesi in piazza per protestare contro l’assurdo divieto. Alcuni testimoni hanno sostenuto di aver visto decine giovani inferociti che davano fuoco a dei pneumatici in mezzo alla strada. I miliziani sono intervenuti sparando in aria per disperdere i contestatori.
La mossa delle corti islamiche riflette una vecchia mania dei talebani, che consideravano i televisori degli strumenti del diavolo. Non si trattava solo di fermare il flusso di notizie dall’Occidente, bollato come propaganda dei crociati. In pratica nessun essere vivente può essere rappresentato, in rispetto ad Allah, non solo sugli schermi televisivi, ma neppure in fotografia o attraverso un dipinto. Inoltre i calciatori scendono in campo in pantaloncini corti, troppo discinti per la morale degli estremisti islamici. Nelle poche partite che si tenevano nell’emirato talebano in Afghanistan i poveri calciatori erano costretti a indossare calzoni lunghi per coprire le gambe.
In realtà i «barbuti», come vengono chiamati i miliziani musulmani che hanno sconfitto gli ultimi signori della guerra di Mogadiscio, sono rappresentati da diverse anime. Quella politica e moderata cerca un dialogo con la comunità internazionale e il governo federale somalo di transizione. L’ala militare, invece, è più fondamentalista, favorevole all’applicazione draconiana della Sharia e assomiglia da vicino a una costola di al Qaida. Il portavoce delle corti, Sherif Sharif Ahmad, considerato un moderato, proprio ieri ha lanciato l’ennesimo segnale in controtendenza rispetto alla fazione talebana. Per quanto riguarda l’imposizione delle legge islamica, Ahmed ha ricordato che «spetta al popolo somalo decidere». Secondo lo sceicco le corti «non detteranno il futuro della Somalia. Verranno consultati la società civile, gli intellettuali, la diaspora e tutta la comunità».
Trattative dietro le quinte fra governo e corti islamiche sono già in corso e dovranno affrontare il problema del disarmo e l’insediamento dell’esecutivo a Mogadiscio. Ieri il ministro dell’Informazione del governo somalo, Mohamed Abdi Hay, ha rivelato: «Abbiamo chiesto alle corti islamiche di abbandonare le armi e attendiamo la loro risposta». Al momento il governo risiede a Baidoa, 250 chilometri dalla capitale e il principale problema è la sua debolezza. Due giorni fa sono scoppiati scontri fra truppe governative e clan locali, che non volevano smantellare i posti di blocco attraverso i quali taglieggiano la popolazione. Ieri il presidente somalo, Abdullah Yusuf Ahmed, ha fatto arrivare 300 uomini di rinforzo.
Inoltre sta diventando sempre più grave la crisi a nord di Mogadiscio, dove i signori della guerra, appoggiati dagli americani e sconfitti dalle corti islamiche, si sono rifugiati. La loro roccaforte è la città di Jowhar a 90 chilometri dalla capitale, che potrebbe venir attaccata da un momento all’altro. Ieri lo sceicco Ahmed ha lanciato un ultimatum, subito respinto dai signori della guerra.

«Concediamo loro il tempo di redimersi. Abbiamo inviato i capi locali per convincerli ad arrendersi in modo pacifico - ha detto ­. Vogliamo la pace e non gradiamo la guerra, ma se non si arrendono, tutti sanno quello che avverrà».

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