Luca Telese
da Roma
Il governo canta vittoria. Loro pure. Per capire se la fiducia sulla missione in Afghanistan sia un successo del nocciolo duro degli «otto ribelli» della sinistra antagonista oppure una sconfitta bisogna sentire uno dei più agguerriti, Gigi Malabarba, senatore di Rifondazione, uno che dice: «Niente sconti. La nostra è una fiducia... a orologeria».
Senatore, partiamo dai fatti: la fiducia la dovrete votare e il disegno di legge non è cambiato come voi volevate. Hanno vinto Parisi e DAlema?
«Per nulla. Abbiamo fatto una battaglia e in due mesi siamo passati, nelle parole del governo, dagli epiteti più feroci, dalla definizione di irresponsabili, perturbatori, sovversivi da cacciare, alle rispettose dichiarazioni di ieri».
Parole di miele, certo. Ma lei non pare uno che si accontenta del miele.
«Infatti. In primo luogo cè stato un fatto politico: oggi il ministro Chiti dice che il nostro dissenso è legittimo, che le nostre posizioni meritano di essere rappresentate, che corrispondono a umori veri del Paese».
Vi corteggiano perché ora serve il voto, ma crede che continueranno?
«Sono passati dalle minacce alle lusinghe: questo è il primo innegabile fatto positivo».
Vediamo il secondo.
«La nostra opposizione ha sventato il rischio inciucistico».
Non sarà troppo ottimista?
«No, è un dato di fatto: il governo aveva una possibiltà di scelta e ha preferito rispondere a noi piuttosto che accettare il soccorso di quei settori di centrodestra che erano disposti ad un sostegno... interessato».
Niente voti centristi, daccordo. però le navi partono lo stesso, ed Enduring freedom continua.
«Ecco, il punto è proprio questo. Chiti ci ha assicurato che cè un cambio di prospettiva nella politica del governo rispetto alle missioni militari. Fra sei mesi avremo modo di verificare se la promessa sarà stata mantenuta».
Scusi, ma fra sei mesi voterete a maggior ragione, visto che avete già votato questa volta.
«E perché? Mica firmiamo cambiali in bianco, noi. Anche rispetto a quegli elettori che per via di una campagna di demonizzazione ci chiedevano se non fossimo troppo massimalisti, se non fosse il caso di dare tempo al governo, se non fosse eccessiva una crisi sulla politica estera... Ecco, rispetto a quegli elettori saremo più forti se a dicembre potremo dire: abbiamo chiesto una cambiamento, e abbiamo dato il tempo perché questo cambiamento potesse avvenire».
Quindi a dicembre, se le cose restano così lei sarebbe pronto a votare contro la fiducia? Non ci credo.
«Fa male.
Ma allora che fiducia è, scusi?
«Una fiducia a tempo, a orologeria, se le cose cambiano. Se non cambiano, la prossima volta il sì diventa no».
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