Cultura e Spettacoli

"Niente nostalgia, il nostro pop è attuale"

Dopo una separazione di quasi vent’anni la ex boy band Spandau Ballet torna con un album e una lunga tournée: "Anche i Duran Duran ci hanno fatto gli auguri mandando una bottiglia di champagne in camerino"

"Niente nostalgia, il nostro pop è attuale"

Londra - Vuoi la nostalgia. Vuoi il tempo che passa impertinente. Però l’altra sera alla O2 Arena di Londra il pubblico aveva il cuore in mano quando gli Spandau Ballet sono saliti sul palco, anche loro impertinenti e neanche poco. Più di vent’anni fa con i Duran Duran si dividevano tifoseria e gel per capelli, il cantante Tony Hadley aveva il ciuffo più bello del reame e le ragazzine che non volevano sposare Simon LeBon impazzivano per lui e per il suo pop caramellato. Poi si sono separati e, come spesso accade, sono passati a litigare pure in tribunale: causa da un milione di sterline, dicono. Roba del passato: ieri è uscito il loro nuovo album Once more, che raccoglie il riarrangiamento dei loro successi più due inediti. E adesso guardatelo qua Tony Hadley, alto e grosso, mentre canta in gessato grigio le canzoni che sono un simbolo degli anni Ottanta e per una generazione rimangono la foto della gioventù. Pure la voce è la stessa, più profonda però anche più rugosa e meno agile rispetto a quanto impone il repertorio. Ma forse è solo questione di tempo, accidenti. Dal primo al tre marzo, quando arriveranno a Milano, Roma e Firenze, forse gli Spandau saranno di nuovo quello che oggi dicono di essere: una band capace di picchiare con il rock più forte di quanto faccia ora menando quella brutta bestia che è la nostalgia canaglia.

Dite la verità, cari Spandau Ballet, anche voi siete nostalgici: infatti non avete resistito ed eccovi di nuovo insieme.
«Mannò. Questo è il nostro lavoro, l’unico che sappiamo fare e tra di noi c’è sempre stato un forte legame».

Tanto è vero che vi siete sbranati davanti ai giudici.
«Ma gli Spandau Ballet sono la cosa migliore che abbiamo fatto finora. La migliore, senz’altro».

Si dirà: si sono riuniti per denaro.
«Di sicuro no».

Allora perché?
«Abbiamo un pacchetto di canzoni che la gente vuole ancora ascoltare. C’è insomma il nostro passato che vogliamo riportare avanti».

A proposito: nel vostro passato ci sono anche i Duran Duran. Eravate, si fa per dire, i Beatles e Rolling Stones del pop anni Ottanta.
«Qualcuno dei Duran è venuto a vederci. E prima del nostro debutto londinese ci hanno mandato una magnum di Dom Pérignon con un biglietto».

Cosa c’era scritto?
«“Fateli a pezzi”. Un incoraggiamento, naturalmente, a conquistare i ragazzi che sono venuti a vederci».

E li avete fatti a pezzi?
«Il nostro concerto è ovviamente focalizzato sulle canzoni degli anni ’80”».

Nostalgia pura.
«Non è nostalgia: anche i Rolling Stones cantano brani degli anni ’60 e ’70».

Ma loro non sono stati separati per quasi vent’anni. Come avete fatto a ritrovarvi?
«Il batterista John Keeble ha riannodato i fili della band. E quando ci siamo ritrovati tutti nel talk show di Jonathan Ross alla Bbc era come se il tempo tra noi non fosse mai passato».

Perciò avrete rimpianto di aver mollato tutto vent’anni fa.
«Macché: ciascuno ha avuto la propria vita. Tony Hadley ha addirittura recitato nel musical Chicago nella parte che al cinema era di Richard Gere».

In Italia siete un simbolo. Sapete, i paninari, il Moncler, le Timberland e via dicendo.
«In Italia abbiamo sempre avuto un grande successo e quindi per noi lì c’è il pubblico migliore del mondo. Diciamo che il passare del tempo ha cambiato i nostri fans e naturalmente anche noi. Ma ciò che abbiamo da raccontare è ancora interessante».

Difatti qui alla O2 Arena avete appena registrato un dvd che uscirà a fine novembre.
«E quello è stato il miglior concerto della nostra vita».

Le band dicono sempre così.
«No, tutto nasce dalle nostre sensazioni: in questi anni ci pensavamo ma eravamo distanti. Adesso ci siamo riuniti e c’è più rispetto tra noi».

Sicuri?
«Siamo più rilassati, anche se siamo rimasti uguali.

È naturale che anche la musica ne guadagni, no?».

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