«Niente risparmi con la chiusura del San Giacomo»

Per i medici ospedalieri le misure decise dalla Regione rischiano di peggiorare il bilancio

«Il centro storico rimane orfano dell’odierna offerta sanitaria. Privare 200mila residenti del loro ospedale di quartiere è una barbarie che toglie all’utente il sacrosanto diritto di scegliere dove curarsi. Per cui chiudere il San Giacomo va in dispregio dei bisogni del quartiere - tuona il segretario regionale della Cimo Giuseppe Lavra -, ma anche di tutta la città, essendo un patrimonio architettonico del 1300 senza contare che il capitale intellettuale che vi presta servizio viene altrettanto depauperato». Non usa mezzi termini il rappresentante dei medici ospedalieri quando si appresta a commentare l’ultima bozza del piano tagli presentata in commissione Sanità dal vicepresidente delle Regione Esterino Montino specificando che «l’atto si profila ancora più grave se si tiene conto del fatto che la maggior parte dei residenti che usufruiscono delle prestazioni del San Giacomo è anziano».
Dottor Lavra, dalle parole di Montino viene fuori che la chiusura del San Giacomo non sia sufficiente a ripianare il disavanzo corrente per cui si procederà con ulteriori tagli di posti letto e ulteriori riorganizzazioni. Che ne dice?
«Tagliare posti letto e, peggio ancora, chiudere un ospedale pubblico, a differenza di quanto vorrebbe fa credere il presidente Marrazzo, produce invece un immediato aumento di costi. Circa l’80 per cento in più rispetto all’odierno perché mentre nel pubblico il costo del posto letto è strutturale, se “si taglia” al singolo paziente la possibilità di ricoverarsi per ricevere quella precisa prestazione non è che lui demorde, tutt’altro. Va altrove. Si rivolge direttamente al privato convenzionato, all’ospedale classificato per il ricovero e in questo caso la Regione deve fare fronte alla prestazione sanitaria, che adesso è diventata un extra. Vale a dire che tagliando i posti letto nel pubblico la Regione apre una nuova linea di credito oltre a quella odierna».
Tuttavia il 31 ottobre si chiuderanno i battenti e dovrà essere trovata una soluzione alternativa per gli utenti e per gli operatori sanitari. Qual è?
«Non c’è un presidio alternativo in zona, né poco lontano. Il Fatebenefratelli lavora a pieno regime e non può dilatarsi, il San Giovanni cura circa 700 malati a regime con oltre 1.000 trasferimenti in case di cura private. Quanto al Santo Spirito siamo pure in un altro quartiere e c’è un’altra pertinenza territoriale. È chiaro che in caso di chiusura il personale ospedaliero non dovrà essere considerato in esubero ma bisogna impegnarsi a ricollocare per intero almeno alcuni reparti in quegli ospedali dove sia possibile per salvaguardare le professionalità. Altro che 680 esuberi, devono essere salvaguardati pure i contratti a termine».
C’è una «ricetta» della Cimo per rientrare del deficit?
«Per risparmiare si dovrebbe partire procedendo con un accurato controllo sull’appropriatezza di prescrizioni farmaceutiche e di prestazioni sanitarie nel settore sanitario privato oltre che nel pubblico e diminuire le spese inutili legate alla attività amministrative piuttosto che assistenziali. Anche se tra le spese inutili ci vorrei provocatoriamente mettere pure i soldi spesi negli ultimi venti mesi per rinnovare reparti e macchinari del San Giacomo.

Almeno 30 milioni di euro per la rianimazione, il laboratorio di analisi, la radiologia, l’ortopedia, la psichiatria e la neurologia oltre all’endoscopia digestiva. Davanti a una realtà del genere viene spontaneo il dubbio che dietro la chiusura del nosocomio ci sia una mera voglia di speculare e basta».

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