Niente svolta: San Suu Kyi rimane agli arresti

Niente da fare per Aung San Suu Kyi. La leader dell'opposizione birmana rimarrà agli arresti domiciliari per almeno sei mesi (ma alcune fonti parlano di un anno). Lo ha deciso ieri la giunta militare al potere. A Rangoon, nei pressi della casa della leader democratica, un gruppo di circa venti persone appartenenti alla Lnd, la Lega nazionale per la democrazia, sono stati arrestati dalla polizia mentre manifestavano in favore della loro leader. In previsione di possibili manifestazioni contro il regime, la polizia ha anche presidiato la sede del partito guidato dalla sessantaduenne attivista. Degli ultimi diciotto anni, Aung San Suu Kyi ne ha passati dodici agli arresti. L'attuale periodo di detenzione risale al 2003, quando venne arrestata per la terza volta con l'accusa di opposizione al regime. Precedentemente, la giunta militare al potere l'aveva incarcerata nel 1990, dopo che la Lega nazionale per la democrazia era uscita vittoriosa dalle libere elezioni per l'Assemblea costituente, subito annullate dai militari al potere.
Rimessa in libertà nel 1995, San Suu Kyi è tornata in carcere nel 2000 fino al 2002, quando viene rilasciata assieme ad altri detenuti politici. Per la prima volta, ieri, il regime del generalissimo Than Shwe ha prorogato la detenzione agli arresti domiciliari del Premio Nobel per la Pace di oltre il limite massimo dei cinque anni previsti dalla legge sul carcere preventivo.
A provocare ulteriore rancore tra i democratici è anche il voto dei giorni scorsi sulla nuova costituzione. Nelle scorse ore, dopo l'uscita dei risultati ufficiali, il Partito di Aung San Suu Kyi ha definito un'impostura il referendum voluto dalla giunta e che si è tenuto il 10 e il 24 maggio scorsi. Il nuovo testo è stato approvato dal 92% della popolazione. «Il referendum - sostengono in un comunicato gli attivisti della Lnd - non è né libero, né regolare». La consultazione elettorale che si è svolta nei giorni in cui il Paese era sconvolto dal ciclone Nargis è, nelle intenzioni dei militari, il primo passo verso la democrazia, che dovrebbe culminare con le libere elezioni annunciate per il 2010.
Secondo gli osservatori internazionali, il voto dei giorni scorsi è stato solo un plebiscito per rafforzare il potere della giunta. La decisione del regime birmano di prolungare gli arresti di Aung San Suu Kyi è stata duramente criticata da Stati Uniti e Gran Bretagna. «È un triste attestato della situazione della libertà politica nel Paese», ha dichiarato il portavoce del dipartimento di Stato americano, Sean McCormack, che ha però aggiunto che la decisione non influirà sugli aiuti alle popolazioni colpite dal ciclone che il 2 maggio scorso ha investito il sud-ovest del Paese. «Sono molto rattristato - ha dichiarato il ministro per gli Esteri britannico, David Miliband - se non sorpreso, nell'apprendere che il governo birmano ha deciso di prorogare ancora una volta gli arresti domiciliari della leader dell'opposizione». Dopo il sì del generale Than Shwe di venerdì scorso all'ingresso nel Paese degli aiuti internazionali, un milione di persone, secondo i dati dell'Onu, è stata soccorsa. La decisione era arrivata dopo un lungo incontro con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon.

Il ciclone Nargis, che si era abbattuto sul sud-ovest della Birmania nella notte tra il 2 e il 3 maggio, ha lasciato senza tetto due milioni e mezzo di persone e ha provocato la morte di 134mila birmani. Fino a pochi giorni fa, la giunta di Than Shwe concedeva il visto d'ingresso nel Paese soltanto a personale medico proveniente dai Paesi confinanti, escludendo gli aiuti internazionali.

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