Niffoi: "Sui computer non s’impara, sfogliare le pagine è poesia"

L’insegnante e scrittore Niffoi preferisce testi veri, da toccare e sottolineare: "L’elettronica porta all’emarginazione"

Niffoi: "Sui computer non s’impara, sfogliare le pagine è poesia"

da Milano

Salvatore Niffoi sfoglia e scrive libri veri, di carta. Lo scrittore barbaricino, insegnante alle medie di Orani, in provincia di Nuoro, non avrebbe mai fatto entrare l’ebook in aula. E ai ragazzi che incontra nelle scuole d’Italia e della sua isola continua a consigliare libri così: da scoprire, annusare, sottolineare. Ogni metodo è buono pur di imparare. Ma la carne ci vuole: la pagina del libro è come il dialetto sardo dei suoi romanzi, da La leggenda di Redenta Tria all’ultimo Collodoro.
L’ebook arriva anche a scuola. Che ne dice?
«Come novità bisognava aspettarsela. Già ci si laurea in televisione. E poi i supporti elettronici sono diventati molto comuni per imparare le lingue straniere».
Non le fa nessun effetto?
«No, visto che sono manuali. Se si trattasse di un romanzo sarebbe da Fahrenheit 451».
Che cos’ha di diverso un romanzo?
«Leggerlo al computer è un sacrilegio. Perdi tutto il piacere. E poi come fai a portartelo in giro? E lo sfoglio, la poesia...».
Un testo di scuola può funzionare anche in formato elettronico?
«Non lo avrei mai usato. Al massimo può servire come metodo aggiuntivo. Ma, d’altra parte, tutti gli strumenti di conoscenza sono buoni. Come a tavola: l’importante è riempire il cervello. Per scrivere va bene anche la pietra».
Per leggere no, per imparare sì?
«Do poca importanza al metodo: basta sconfiggere l’ignoranza. Mio nonno, che lavorava in una polveriera, imparò a costruire televisori con le dispense».
L’ebook troverà spazio davvero nelle scuole italiane?
«Difficile. Il rischio è che sia utilizzato da chi è già specializzato e, in realtà, non ne avrebbe bisogno. E poi, in un periodo di crisi, non tutti i ragazzi hanno un computer a casa».
È una cosa da ricchi?
«È comodo per chi ha i soldi e un portatile a disposizione. Il pericolo è che diventi un’ingiustizia, uno strumento per separare. Invece dovrebbe servire per aiutare tutti a migliorare».
L’ebook costa poco: nove euro e novanta.
«Sì, è vero. Bello. Però ci credo poco... Mi suona tanto marketing. Nei paesini del Sud, in quelli con un alto tasso di abbandono scolastico non penso che funzionerà. Comporta una certa forma mentis. Ma ci sono ragazzi che ancora non si sono avvicinati al libro: figuriamoci all’ebook».
Più problemi che vantaggi?
«Alla base di tutto ci dev’essere il piacere per la lettura. E dev’essere l’insegnante a trasmetterlo. Altrimenti che ci sta a fare?».
Nessun aspetto positivo?
«Per combattere la peste va bene tutto. E l’ignoranza è la peggiore delle malattie virali, perché intacca le meningi. Però temo che il libro elettronico porti a maggiore emarginazione, soprattutto di chi ha davvero bisogno».
È l’unico rischio?
«Un altro pericolo da evitare è la scolarizzazione con una lingua forestiera. L’italiano diventa sempre più lingua di frontiera, già i testi universitari e le tesi di laurea sono in inglese. Così si rischia di perdere il senso della nostra identità culturale. Non è che non si debbano imparare altre lingue, anzi: ma, ogni tanto, se parli come mangi non ti fa male».
No netto?
«Nella mia classe non sarebbe mai entrato.

La grammatica va studiata col libro. E dobbiamo recuperare anche il ruolo dell’insegnante, altrimenti è come 2001 Odissea nello spazio: tanto vale fare lezione su internet. I pilastri vanno costruiti in cemento e ferro, non con l’argilla».

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