No al figlio dal marito in coma: serve la volontà dei due coniugi

All’estero succede di tutto. Anche avere un figlio da un marito morto dopo trent’anni dal suo decesso. Ma, buon gusto a parte, diventa un problema di volontà. Se il marito aveva espresso il suo desiderio di fare il padre, allora, ben venga il figlio, anche se a distanza di decenni. In Italia le situazioni non sono così estreme. Ma il rispetto della volontà di chi avrebbe voluto essere padre rimane un dovere morale imprescindibile. E non si transige. Ne è consapevole anche la moglie trentaduenne di un uomo di 35 anni ricoverato in coma alla fondazione Maugeri di Pavia a causa di un tumore al cervello. Lei vuole avere un figlio a tutti i costi. Nonostante suo marito non possa più esprimere lo stesso intenso desiderio. Lo vuole a tal punto che ha scomodato, lo scorso febbraio, il professor Severino Antinori che si è prestato a prelevare al paziente incosciente da gennaio, del liquido seminale, attualmente conservato nella banca del seme di Roma. Ma il Tribunale di Vigevano ha scombinato le carte e ha respinto la richiesta di accedere alla procreazione medicalmente assistita per un motivo fondamentale: non è stato possibile ricostruire la volontà del paziente, insomma, non è certo che quell’uomo volesse diventare padre.
In realtà la richiesta per conto del giovane era stata avanzata dal padre, nella qualità di tutore. Ma la sua parola non è bastata. Il collegio dei giudici presieduti da Anna Maria Peschiera, ha detto «no» con una decisione presa dopo aver svolto istruttoria e aver acquisito il parere negativo sia del giudice tutelare sia del Pm. Per la corte, infatti, non ci sarebbero elementi per stabilire che l’uomo, nel pieno delle facoltà, avesse manifestato la decisione, qualora si fosse trovato nelle condizioni attuali, di avere un figlio ricorrendo alla fecondazione assistita. Di diverso avviso l’avvocato Claudio Diani, che assiste la famiglia dell’uomo. Il legale ha già annunciato che impugnerà il provvedimento dei giudici civili. «Se le motivazioni di questo rigetto fossero quelle che mi hanno riferito, allora andrò in appello». Ma come, dinanzi a una mancanza di volontà si insiste nel giudizio? «Certamente – spiega il legale – semplicemente perché la volontà del marito c’era eccome e io ho indicato sette testi che non sono stati sentiti dal giudice». In pratica, Diani spiega che la moglie, il padre, il collega, i testimoni di nozze e pure i vicini di casa erano pronti a testimoniare e a spiegare che l’uomo aveva rinviato il sogno di essere padre solo per mancanza di soldi. «La situazione era migliorata e con sua moglie si erano decisi a fare un bambino. Poi l’improvviso tumore al cervello ha distrutto quel sogno in pochi giorni». Diani non si arrende. E smonta un’altra obiezione della corte, secondo cui il tutore non potrebbe esercitare i diritti personali del paziente in coma. «E allora la sentenza Englaro? Sono bastate le testimonianze di tre amiche per convincere i giudici. Spero di poterlo fare anch’io».

A pensarla diversamente è il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella: «È una sentenza saggia, che evita di entrare così profondamente nell’intimità di una persona da lasciare a un tribunale il compito di stabilire se un uomo in stato di incoscienza vuole effettivamente diventare padre o no».

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