Il no al nucleare è una «religione» per integralisti

Caro Granzotto, le ho appena scritto che clima ed energia non sono temi adatti a un raffinato umanista come lei e lei che fa? Fa rispondere a Franco Battaglia, docente di Chimica Ambientale all’Università di Modena e Reggio Emilia, le cui opinioni in favore del nucleare sono arcinote ai lettori del Giornale, che non ne ha mai pubblicate di diverse. Per informazione, le allego la «lettera aperta» inviata lo scorso maggio al presidente del Consiglio e ai ministri interessati al tema nucleare dal prof. Vincenzo Balzani, docente di Chimica all’Università di Bologna (la migliore italiana, secondo una recente classifica internazionale). Per buon peso, allego anche la recentissima opinione, negativa, sul nucleare manifestata dal prof. Carlo Rubbia, esperto di Fisica delle Alte Energie e Premio Nobel per le sue scoperte in quel settore.
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Ma caro Libero, perché dovremmo dedicare anche un solo rigo del Giornale (cosa che comunque io farò, per compiacerla) alla predicazione antinucleare? Le ragioni dei no nuke le conosciamo dagli anni ’60 e sono sempre quelle. In due parole, per produrre energia tutto è meglio, più efficace, meno costoso e più ecologicamente corretto del nucleare. Anche la purea di piselli. Comunque, nel natalizio clima buonista, vuole che dia conto dell’appello del professor Balzani? Afferma l’insigne cattedratico che «autorevoli studi mostrano che nei Paesi sviluppati circa il 50% dell’energia primaria viene sprecata», quindi utilizziamola meglio. E fin qui nessuna obiezione. Scrive poi Balzani che «si dice che lo sviluppo dell’energia nucleare è un passo verso l’indipendenza energetica del nostro Paese». Vero niente, sostiene il prof, perché le quattro centrali previste dal governo «produrrebbero solo il 14 per cento dei consumi elettrici». Be’ vede, caro Libero, per noi «raffinati umanisti», com’ella gentilmente mi designa, «un passo verso» è «un passo verso» e non il fine corsa. Mettiamo che si voglia convertire la produzione di energia con combustibili fossili in energia prodotta col nucleare. Se l’obiettivo dovesse essere la riconversione al 100%, quel 14 per cento rappresenterebbe ciò che si dice «un passo verso» la meta programmata. Giusto, no?
Il professor Balzani scrive poi che non è vero che il nucleare non liberi quello schifo dei gas serra, che sia cioè ecologicamente corretto. Però, per avvalorare la sua tesi precisa che tutta ’sta marea di gas serra non sarebbe prodotto durante il funzionamento, ma nel corso dalla costruzione e del successivo inevitabile smantellamento delle centrali. Però, messa così, non c’è scampo: anche l’idolatrata auto elettrica risulterebbe una pestifera fabbrica di anidride carbonica. Ma anche a voler dargliele tutte per buone, su un punto a mio parere inciampa il professor Balzani. Quando scrive che l’abbandono del nucleare sarebbe in sintonia con «lo spirito che anima il nuovo presidente americano Obama: “... utilizzeremo l’energia del sole, del vento e della terra per alimentare le nostre automobili e per far funzionare le nostre industrie”». Scusi, sa, caro Libero, se mi viene da ridere. Obama ne ha sparate tante e di grosse, ma questa delle auto e delle industrie che vanno avanti a forza di energia eolica è proprio una grullata (senza dire che il piano energetico «environment friendly» di Obama comporta anche la costruzione di una decina di centrali nucleari). Resterebbe Carlo Rubbia, un Nobel. Fortissimamente avverso al nucleare e spasmodicamente favorevole all’energia solare termodinamica colla quale, secondo il suo autorevole giudizio, si risolverebbero tutti i problemi.

Si dà però il caso che Rubbia sia il padre degli impianti a energia solare termodinamica. E si sa, è ben noto, che ogni scarrafone è bello a mamma - ma anche a babbo - suo. S’è mai visto uno che t’inventa la Coca Cola e poi va in giro a dire che è meglio la Pepsi?

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