Anche un victory garden, un orto di guerra, può essere il seme da cui germoglierà un Nobel. È successo a Elinor Ostrom, battagliera settantaseienne cresciuta nell’America della Grande depressione, prima donna a essere insignita del prestigioso premio per l’economia. «Durante la guerra mia madre aveva un victory garden: lì ho imparato tutto sulla coltivazione e sulla conservazione degli ortaggi», ha spiegato una volta la docente dell’Università dell’Indiana.
Niente sprechi, dunque, ma un rigoroso rispetto dell’ambiente unito a un razionale utilizzo delle risorse. Per poi arrivare, dopo 30 anni di studi e ricerche, a sciogliere uno dei nodi più intricati, quello della gestione dei beni comuni (acqua, foreste, pesci, idrocarburi), rovesciando - si legge nella motivazione del Nobel - «l’idea classica che la proprietà comune è mal gestita e va presa in carico dallo Stato o dal mercato». Per la Ostrom, al contrario, le associazioni di cittadini nate per proteggere un bene comune spesso fanno meglio di organismi pubblici o di imprese private.
Il Nobel alla Ostrom è lo specchio dei tempi. E non solo perché è attribuito a una donna 40 anni dopo la sua istituzione (le scienze economiche sono l’unica «categoria» non presa in considerazione da Alfred Nobel nel suo testamento). Ancora una volta, il premio finisce infatti nelle mani di un’economista liberal dopo la vittoria l’anno scorso di Paul Krugman, l’anti-Bush per eccellenza. Molti economisti Usa sono furibondi per il successo della Ostrom «in quanto non è un’economista - ha tuonato Steven D. Levitt, dell’Università di Chicago - ma una scienziata di politiche economiche. Solo un economista su cinque la conosce».
Vicino alle posizioni progressiste è l’altro vincitore 2009, Oliver Williamson, 77 anni, professore all’Università della California a Berkely, padre della dottrina neo-istituzionalista, secondo cui l’impresa è il modello economico dominante perché facilita la gestione dei conflitti e riduce i costi grazie alla gerarchia. Non manca tuttavia un inconveniente, fa notare Williamson: l’abuso di autorità.
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