Cronaca locale

Nobel per la pace che fece la guerra

Nel 1907 gli fu assegnato il prestigioso premio anche se aveva partecipato alle Cinque Giornate di Milano e allo sbarco dei Mille

Ernesto Teodoro Moneta, chi era costui? A cento anni tondi dal conferimento, l'unico italiano premio Nobel per la pace rischia di passare per un altro Carneade. Ma sta rimediandovi il Comune di Missaglia in provincia di Lecco, dove Moneta è sepolto, con un fitto calendario di celebrazioni fra ottobre e novembre. Milano, sua città natale, lo ricorderà il 10 dicembre. Fu un personaggio emblematico di quel crinale che, fra Ottocento e Novecento, divise l'Europa tra necessità di pace e volontà di guerra per le indipendenze degli Stati. Il rischio è che oggigiorno Moneta venga ammantato della bandiera arcobaleno di un pacifismo «senza se e senza ma» di certo non aderente al suo pensiero. A Missaglia gli anziani ricordano ancor oggi che padri e nonni raccontavano di questo «scior» milanese uso a soffermarsi con i contadini che lavoravano le sue proprietà, ascoltarne con attenzione i problemi e porvi rimedio o aiuti. Quando nel 1895 molti lavoratori della terra scioperarono, lui, il «padrone» si schierò dalla loro parte fino a ricevere il biasimo dei giornali dell'epoca. E pensare che egli firmava uno dei più prestigiosi. Nato nel 1833, acceso patriota, giornalista, massone, pacifista ma anche interventista, avverso alla pratica del duello ma al contempo duellante, Ernesto Teodoro Moneta condusse una esistenza avventurosa e intellettualmente vivace, non priva di apparenti contraddizioni. Da giovanissimo partecipò con il padre alle Cinque Giornate di Milano per poi imbracciare le armi quale volontario al fianco di Garibaldi e combattere nelle guerre per l'Indipendenza. Il 1860 lo vide fra i Mille che sbarcarono a Marsala, campagna di cui tenne una accurata cronaca dando così origine alla categoria degli inviati di guerra. Congedatosi nel 1866, dal 1867 al 1896 diresse un grande quotidiano milanese: Il Secolo, concorrente del neonato Corriere della Sera, dove inventò la cronaca locale e fece conoscere ai suoi lettori la moda francese del «feuilleton». Precursore dei diritti femminili e riferimento morale per il suo tempo, fu amico di Turati, Kuliscioff, Tolstoj, Pareto, De Marchi e De Amicis, con alcuni dei quali promosse battaglie sociali e pacifiste criticando ferocemente il colonialismo di Crispi. Nel 1887 fondò l’Unione lombarda per la pace e l'arbitrato, gettando le basi per la futura Società delle Nazioni (poi divenuta Onu) nella speranza di veder risolte le controversie internazionali con il dialogo anziché con la guerra. Per simili impegni, nel dicembre 1907 venne insignito del premio Nobel per la Pace, l'unico meritato da un italiano. Le 96mila lire del riconoscimento (circa mezzo milione di odierni euro), Moneta le investì per condannare la guerra. Ma quando nel 1914 le nubi del conflitto offuscarono l'Europa, il pacifista Teodoro Moneta scese in campo dalla parte degli interventisti perché, scriveva, «è giusta la guerra combattuta dai popoli oppressi o dalle Nazioni occupate da un altro Stato». Contraddizione? Forse. E comunque non fu l'unica. Infatti, fra le sue battaglie era ben nota quella per l'abolizione del duello. Tuttavia, quando un altro milanesissimo, Cletto Arrighi, gli diede del pusillanime, il pacifista-garibaldino lo sfidò a singolar tenzone ferendolo a sangue con la sciabola. Ernesto Teodoro morì nel 1918, proprio mentre l'Italia stava coronando l'Unità nazionale, e venne sepolto nella cappella di famiglia a Missaglia, dove possedeva una villa e amministrava le tenute della moglie, Ersilia Caglio. Il suo cospicuo e prezioso archivio memorialistico ed epistolare, fra cui la corrispondenza con Tolstoj e Garibaldi, così come le dettagliate cronache delle Cinque Giornate e della spedizione in Sicilia, sono andate in rivoli fra aste private, ritrovamenti casuali a Missaglia e la custodia in un caveau ancora inaccessibile agli storici. A Moneta venne anche eretto un monumento ai Giardini pubblici a Milano. Ma fu tormentato come la sua esistenza: posto e rimosso più volte, a seconda della condivisione dei regimi che si succedettero.

Missaglia, da parte sua, gli ha titolato una via e una scuola.

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