«Noi cristiani condannati a vivere come prigionieri»

«È stato l’attacco più crudele. Volevano fare tanti morti, volevano una strage di cristiani. Hanno colpito ad un chilometro da Mosul, alle porte della città. Hanno atteso i sette autobus con a bordo gli studenti universitari di Qaraqosh, un villaggio cristiano a quaranta chilometri da qui, e hanno fatto saltare una trappola esplosiva. Quando il convoglio si è fermato per prestar soccorso ai feriti è arrivata un’autobomba guidata da un kamikaze e li ha investiti con una seconda esplosione. Finora c’è stato un solo morto, non quattro come si era detto, ma ci sono oltre cento feriti e tanti sono tra la vita e la morte, in condizioni gravissime».
Monsignor Emil Shimoun Nuna, 43 anni, vescovo caldeo di Mosul racconta così al Giornale l’attentato di lunedì mattina contro la comunità cristiana del capoluogo nord iracheno. La tentata strage segna il ritorno della paura dopo il rientro di 122 delle 800 famiglie scappate dalla città alla fine di febbraio dopo una serie di attentati costati la vita a 40 esponenti della comunità religiosa. A Mosul in verità il clima di minaccia intimidazione dura ininterrottamente da ormai cinque anni. Nel 2008 i responsabili delle persecuzioni non risparmiarono neppure l’anziano vescovo Paulos Farai Rakha ritrovato cadavere dopo esser stato rapito da un gruppo fondamentalista.
«Qui viviamo come prigionieri - spiega al telefono monsignor Nuna - per sopravvivere dobbiamo muoverci con estrema prudenza, non percorrere mai la stessa strada, cambiare spesso auto, farci notare il meno possibile, ma ora neppure questo basta più. E l’ultimo attentato mi creda è assai strano».
In che senso?
«La zona dove hanno colpito si trova tra due posti di blocco distanti un chilometro tenuti uno dagli americani e l’altro da polizia ed esercito. Ci chiediamo dove fossero americani e polizia».
Ha dei sospetti?
«Non posso dire nulla di certo, sicuramente devono ripensare il modo di garantire la nostra sicurezza».
Lei e gli altri vescovi in passato avete accusato il governo di non proteggervi, è servito?
«Non è cambiato nulla. Dopo le elezioni la situazione sembrava più calma, ma dopo questo attentato sono tornate paura e disperazione. I cristiani hanno perso qualsiasi fiducia. Non credono più ai politici, non credono più di poter tornare a vivere sicuri. Le elezioni sono state un’altra mazzata. Speravamo in un governo forte capace di riportare l’ordine, ma ora è chiaro, questo governo non vedrà mai la luce. La situazione mi sembra disperata».
I cristiani hanno ripreso ad abbandonare la città?
«Stavolta no, non avrebbe senso. L’attentato è avvenuto alle porte di Mosul non in città. Ma anche se nessuno pensa a scappare il clima è di vera disperazione. Qui a Mosul gli attentati sono continui. Stamattina ho contato due esplosioni e ieri ci sono state due autobombe. Non colpiscono i cristiani, colpiscono chiunque ci finisca in mezzo. Eravamo andati a votare con tanta speranza e ora neanche due mesi dopo tutto è già svanito».
Di chi è la colpa?
«Dei politici e di chi ha interesse a cacciare i cristiani da queste zone. I politici fanno solo i propri interessi gli altri ne approfittano».
I cristiani cosa chiedono?
«Qualcuno spera in un intervento internazionale, altri in quello del governo centrale. Dal mio punto di vista un intervento internazionale può solo complicare le cose. Abbiamo già gli americani e loro hanno tutto il potere necessario. Non vedo quali altri interventi militari o diplomatici chiedere. Secondo me dobbiamo guardare all’interno dell’Iraq non al di fuori. Una soluzione esterna non aiuterà».
Cosa teme per il futuro
«Che la presenza cristiana venga definitivamente compromessa, che i cristiani dopo secoli di vita qui vengano sradicati, convinti a non tornare. Per questo è importante restare. Per questo è importante dialogare con i capi delle tribù arabe e con i curdi, convincerli a garantire la nostra sicurezza. Del resto lo sanno anche loro garantire protezione ai cristiani significa restituire fiducia e sicurezza a tutta la regione».
Cosa chiedete all’Occidente e all’Italia?
«Vi chiediamo di premere sui politici iracheni perché pensino al paese anziché ai propri interessi.

Ma se mi chiede che tipo di pressione esercitare non so risponderle. Di certo l’Occidente deve fare di più e l’Europa deve prestare più attenzione a questo paese. Dovete smetterla di lasciare decidere tutto agli americani».

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