Dopo il giorno del delitto viene il giorno della pena. Dello strazio. Delle lacrime inconsolabili perché smisurate. Il giorno in cui tocca parlare ai genitori. La frase più emblematica e commovente è del papà di Raffaele Sollecito: «Non avrei mai voluto trovarmi in una situazione del genere».
Emblematica proprio perché del tutto priva di senso. Chi potrebbe dire: desideravo ardentemente trovarmi in una situazione del genere? Parole vuote, perfettamente inespressive: eppure al tempo stesso più dolorose di ogni discorso.
Perché oggi è di scena la demenza dell'amore, la sua stupidità, la sua futilità che è insieme la più vincolante delle necessità.
Mi viene in mente un episodio di tanti anni fa. Qualcuno ricorderà il calciatore Re Cecconi della Lazio campione d'Italia 1974. Era un bel ragazzo biondo e robusto, che fu ucciso per una burla giocata a un amico gioielliere. Lui entrò e disse per gioco «questa è una rapina» e quello, che era di spalle, si girò allimprovviso con la pistola e sparò a bruciapelo.
Chissà se andò così. Ricordo che quella sera toccò a Gianni Brera commentare il triste evento e lui raccontò che proprio lo stesso giorno suo figlio, militare, si era procurato una piccola ferita, e che questo lo aveva gettato nell'angoscia. Così, quando seppe che Re Cecconi - che doveva avere suppergiù la stessa età di suo figlio - era morto in quel modo, lui scoppiò in un pianto disperato. L'incidente al figlio lo aveva portato dentro quella morte. Di colpo Brera aveva capito: chi era morto non era un calciatore della Lazio: era suo figlio! E questo è proprio vero. Anche se Re Cecconi fosse stato un vero rapinatore. Eccola, la demenza dell'amore, che fa dire frasi insensate come quelle del papà di Raffaele. Ricordiamo allora che Meredith, Amanda e Raffaele avevano l'età dei miei figli, erano cioè dei ragazzi, e ora Meredith è morta, e Amanda e Raffaele sono in qualche modo morti anche loro.
Irritano le chiacchiere degli avvocati. Quello di casa Sollecito che ci descrive il grande amore tutto cip cip di quei due fidanzatini tanto cari e tanto bravi e da questo deduce che non possono essere certo stati loro gli autori del misfatto. Ma perché non se ne stanno zitti? Io li pagherei per tacere.
Qui di scena c'è il vuoto che l'essere padri e madri comporta davanti alla scoperta che i propri figli sono dei perfetti sconosciuti. Li abbiamo coccolati, amati, riempiti di regali, gli abbiamo dato i soldi, il motorino, la macchina. Siamo stati bravissimi genitori. Oppure siamo stati pessimi genitori. Non importa, perché un assassino può uscire anche da due genitori perfetti.
Quando insegnavo in un liceo detestavo l'ora di ricevimento genitori, perché arrivavano a frotte a difendere sempre e comunque i loro bambini, tanto sensibili, tanto problematici ma al fondo tanto buoni. E non capivo, perché ero troppo giovane, che strazio è un figlio per un genitore, soprattutto quando diventa grande. Finché sono piccoli, in fondo, dipendono in tutto da noi: noi siamo i loro dèi, e fare il dio è tutto sommato (per chi non lo è) un mestiere abbastanza facile.
Ma viene il momento in cui noi non sappiamo più rispondere alle loro domande, perché le loro domande sono diventate più grandi di noi. Soprattutto, i loro atti sono diventati liberi, e perciò responsabili in una misura più grande. Di fronte alla loro libertà non possiamo nulla. E allora può venire il momento in cui, a bocca aperta, completamente rimbecilliti, ci tocca dire: «Non avrei mai voluto trovarmi in una situazione del genere».
Che pessima uscita! Come quando, a teatro, l'attore secondario sbaglia la sua unica battuta, l'unica che il copione gli assegnava.
Essere genitori, o perlomeno essere padri è questo: un destino che ci porta fatalmente a sbagliare la nostra unica battuta.
Ma è meglio che questa battuta sia sbagliata. Non cerchiamo di definire il mistero dei nostri figli. Cerchiamo piuttosto di imparare qualcosa di buono per noi stessi. Io non so se Amanda e Raffaele siano due assassini, ma spero ardentemente di no. So, purtroppo, che di festicciole con orge e droga se ne fanno, e so che qualcuno è l'assassino di Meredith. Eppure, demenzialmente, continuo a sperare che tutti siano innocenti.
Ma forse non sono del tutto stupido. Quello che spero veramente è che il nome del colpevole si sappia, ma che noi (io, i media, la società tutta) non ne facciamo a nostra volta un morto: che l'assassino possa andare al fondo del proprio atto per trovarvi quella luce che c'è, e di cui abbiamo bisogno tutti. Per uccidere basta poca libertà, per uscire dal baratro ne occorre tantissima.
Evitiamo di cadere nell'errore peggiore in cui spesso cadono i padri. I quali, per il loro eccessivo e stupido amore, per la loro incapacità di vedere il male nei figli, intralciano questo cammino, diventando involontariamente i loro peggiori nemici.
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