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«Ma noi iraniani sappiamo fino a quando alzare la posta»

Rahman Gharemanpour non è preoccupato delle minacce internazionali: «Al peggio siamo pronti a ritirarci»

Gian Micalessin

da Teheran

«Se pensavamo d'uscirne sconfitti neppure giocavamo, non stiamo perdendo, la partita nucleare è appena all'inizio e sappiamo dove vogliamo arrivare». A 24 ore dalla presentazione al Consiglio di Sicurezza dell'ultimo rapporto dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica) che inchioda l'Iran, il dottor Rahman Gharemanpour non sembra né pessimista né preoccupato. Per lui il grande gioco è appena iniziato e Teheran ha ottime carte da giocare. A soli 35 anni, Rahman è già uno dei cinque direttori del Centro di ricerche strategiche, uno dei gangli di quel Supremo consiglio di sicurezza controllato dal grande negoziatore Alì Larijani. «La soluzione della partita è già pronta... alla fine basterà riconoscerci il diritto a mantenere un laboratorio di ricerca sull'arricchimento dell'uranio e noi ci dichiareremo pronti a sospendere lo sviluppo industriale del nucleare per ritornare alle trattative. La proposta che salverà la faccia a tutti è già stata accennata in una lettera di Larijani al direttore dell'Aiea Mohammed El Baradei, ma per ora nessuno ha l'interesse a pubblicizzarla. Voi europei dovete seguire l'America. Noi per ragioni di politica interna non possiamo indietreggiare». La soluzione “salva faccia” non arriverà , secondo il giovane direttore, prima del prossimo anno. «Per noi ora è più interessante osservare quanto succede al Consiglio di Sicurezza e capire se gli americani riescono a costruire un consenso intorno alle loro posizioni. Nel caso ci ritireremo un attimo prima».
In questa complessa roulette russa Teheran conta assai poco sui propri alleati. «Non ci fidiamo né di Mosca né di Pechino, entrambi si oppongono alle sanzioni per puro interesse, alzano la posta per ottenere una fetta di torta più grossa dagli Stati Uniti, ma alla fine ci molleranno come fecero con l'Irak. I russi sono i più inaffidabili, ma siamo uno dei migliori mercati per le loro armi e la loro tecnologia nucleare. Pechino non può far a meno delle nostre forniture di gas e petrolio. Ma non durerà in eterno, alla fine l'America gli offrirà quel che desidera». La torta sblocca-sanzioni potrebbe essere un'apertura dei mercati iracheni per i russi e una breccia nel fronte dei dazi doganali per la Cina.
«Per i russi siamo l'ultimo ponte sul Medioriente, ma se Washington aprirà le porte dell'Irak e gli consentirà spazio di manovra politica in Medioriente Mosca ci dirà addio il giorno stesso». Quello stesso giorno Teheran, sostiene Rahman, tornerà al negoziato rinunciando alla produzione di uranio arricchito su scala industriale. Ma anche non facendolo non rischierà un attacco o un'invasione americana. «Il nostro caso è diverso da quello iracheno perché arriva dopo la caduta di quel regime. Un'invasione dell'Iran da parte degli Usa priverebbe voi europei di ogni ruolo in Medioriente trasformandovi da alleati in vassalli, dunque avete tutto l'interesse a tenerci in vita e usare le relazioni con noi in contrapposizione all'unilateralismo americano. E lo stesso vale per Russia e Cina». La stessa America, nelle analisi del “Centro”, sarebbe riluttante ad attaccare. «Il difficile in Medioriente non è vincere, ma ricostruire una nazione. Gli americani lo hanno capito e si guarderanno bene dal rifare lo stesso passo falso. Per questo non crediamo alle loro minacce».
E neppure Israele sarebbe in grado di ripetere il famoso raid sul reattore iracheno di Osirak. «Qui dovrebbero colpire decine di obbiettivi diversi e non sarebbe per niente facile, ma questa è solo una difficoltà tattica. Il loro vero ostacolo sono i loro stessi obbiettivi geo strategici. Come dimostrano le loro recenti aperture al Bahrein, al Qatar e al Pakistan, Israele vuole uscire dall'isolamento e venir riconosciuto dai Paesi islamici. Attaccandoci rinunceranno a questa politica e dimostreranno di essere un burattino dell'America».
Rahman non esita neppure a disinnescare le bellicose esternazioni del presidente Mahmoud Ahmadinejad. «È tutto legato alla politica interna, è un nuovo arrivato, deve consolidare il suo potere dimostrandosi più duro di altri. Certo siamo musulmani e siamo obbligati ad appoggiare i palestinesi e lui forse è più filo palestinese di altri, ma una parte della nostra società pensa che potremmo anche essere neutrali.

Oggi la questione palestinese come quella nucleare è influenzata dalla politica interna, è un simbolo dell'orgoglio nazionale, ma tra qualche anno - credete a me - l'Iran potrebbe anche sostenere la soluzione dei due Stati e riconoscere Israele».

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