Noi speriamo che Eluana continui a vivere

Caro Granzotto, non ho l’abitudine di scrivere, ma dopo le recenti notizie sulla vicenda di Eluana Englaro, sento il dovere di dirle brevemente la mia esperienza. Anni fa mio padre (82 anni) fu colpito da un ictus. Non era il primo episodio e le conseguenze furono pesanti, tanto che, secondo me, il papà non voleva vivere in quelle condizioni. In ospedale ci alternavamo fra sorelle per imboccarlo e un giorno ebbi la nettissima sensazione del suo «ultimo» atto cosciente. Gli avevo portato del gelato per invogliarlo ad assumerne qualche cucchiaino e il papà prima serrò forte le labbra, poi girò la testa dall’altra parte. A me scesero alcune lacrime e ricordo che gli dissi addio, convinta che non lo avrei più visto cosciente. Così fu, perché le sue condizioni peggiorarono e le lesioni cerebrali erano così estese da non dare speranza di recupero; venne dimesso dall’ospedale e lo tenemmo a casa finché non fu necessario ricoverarlo nel reparto lunga degenza, dove gli misero il sondino per l'alimentazione. Un giorno, a colloquio con il medico che lo seguiva, mio fratello e io gli dicemmo che, d’accordo con la mamma, non volevamo per il nostro caro nessun tipo di accanimento terapeutico e gli chiedemmo se non era il caso di togliere il sondino.

Il medico ci rispose che attraverso il sondino il papà veniva «nutrito», ma soprattutto idratato, e che toglierglielo avrebbe significato farlo morire di sete, e, indimenticabili e testuali le sue parole: «la morte per sete è la più terribile che ci sia».

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