(...) Un conto sarebbe confrontarle con quelle dei compagni di partito, adeguandosi poi alle decisioni della maggioranza. Un altro è l'acritica acquiescenza a decisioni mai discusse, spesso prese nemmeno dal capo ma da suoi cortigiani o da consulenti prezzolati, come i leggendari «avvocati del premier», che a giudicare dal numero di autogol e di maldestre retromarce non sembrano esattamente infallibili.
Insomma, o è sbagliata la teoria della fedeltà assoluta del parlamentare nominato, o è sbagliata la legge. E una cosa non esclude l'altra, purtroppo.
Ma se la legge è sbagliata, la colpa è del nominato? E poi, c'è nominato e nominato. Per alcuni questo sistema è un danno. Chi avrebbe tranquillamente preso le sue preferenze, o si sarebbe affermato in un collegio uninominale, qui invece può essere trombato non dagli elettori, ma da capi e capetti, prima ancora che si presentino le liste. Magari proprio perché troppo autonomo, e non sufficientemente «mansueto».
E allora? Bisogna cambiare la legge. Niente affatto facile, perché i capi, a destra come a sinistra, non ne hanno alcuna intenzione, preferendo truppe scelte da loro per mansuetudine o altre qualità che raramente hanno a che fare con l'intelligenza.
E nel frattempo? Comportarsi come eletti, non come nominati.
Il nominato ha torto anche se ha ragione
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