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«Non abbiamo paura dell’Iran noi conviviamo con il pericolo»

«Non abbiamo paura dell’Iran noi conviviamo con il pericolo»

Marcello Foa

Il presidente iraniano Ahmadinejad minaccia di annientare Israele, Shimon Peres replica a tono: «Finirai come Saddam», ma un’escalation non sembra imminente. O perlomeno: non sarà lo Stato ebraico a provocarla, come spiega in questa intervista al Giornale, Grig Davidovitz, vice direttore del quotidiano Haaretz.
Teheran procede spedita verso la bomba atomica, Ahmadinejad continua a lanciare moniti, non è il caso che Israele alzi il livello di allerta?
«No, non è ancora il momento. Sia chiaro: non c’è indifferenza nei confronti dell’Iran, al contrario. Tutti sono consapevoli che i tentativi degli ayatollah di procurarsi la bomba atomica rappresentano la minaccia strategica più grave nei confronti dello Stato ebraico. Ma qui siamo abituati a convivere con la paura e non è la prima volta che Ahmadinejad fa dichiarazioni violentemente antisemite. Per ora le sue sembrano solo schermaglie verbali».
Eppure gli Stati Uniti sono molto preoccupati...
«E questo è il motivo per cui Israele segue la crisi fiduciosamente. Il fatto che non solo gli Usa, ma anche l’Europa, l’Aiea e le grandi potenze stiano cercando di trovare una soluzione al problema del nucleare iraniano per noi è una garanzia».
Dunque: nessuna risposta alle provocazioni. Giusto?
«Certo, Teheran cerca lo scontro verbale per giustificare le proprie ambizioni, ma noi non intendiamo cadere nella sua trappola. Il governo eviterà qualunque dichiarazione che possa ostacolare il lavoro della comunità internazionale. In questa fase terremo il profilo basso».
Da Washington si moltiplicano le voci su un possibile blitz contro gli impianti nucleari. Uno scenario realistico?
«Non a breve termine. La diplomazia non ha ancora gettato la spugna e le indicazioni che provengono da Washington sono contrastanti: alcuni esponenti premono per la soluzione militare, altri frenano. Ripeto: non è certo una questione di settimane né di mesi».
Ma se gli Usa ricorreranno alla forza, non temete di subire la ritorsione iraniana?
«Il rischio è elevato: sappiamo tutti di essere un bersaglio potenziale, ma prenderemo le contromisure solo quando arriveranno segnali concreti di un peggioramento della situazione».
Per esempio?
«La notizia che l’Iran ha effettuato con successo un test atomico sotterraneo. A quel punto il quadro cambierebbe drasticamente e la gente comincerebbe a prepararsi seriamente al peggio».
C’è chi dice: se gli Usa non intervengono ci penserà l’aviazione israeliana. Condivide?
«Non mi sembra molto probabile. Da un lato perché gli interessi degli Usa e di Israele sono coincidenti: loro come noi hanno interesse a impedire che l’Iran diventi una potenza nucleare. D’altro canto lo scenario militare è complesso: non si tratta di colpire una centrale nucleare come in Irak negli anni Ottanta, ma una serie di impianti nascosti in bunker sotterranei in diverse parti del Paese. Dubito che l’esercito israeliano sia in grado di condurre un’operazione così sofisticata».
Sharon fuori di scena, ci si chiede come si comporterà il suo successore Olmert. Ha il carisma necessario per gestire una situazione complessa, tra Hamas e la crisi con l’Iran?
«Credo di sì. È paradossale che si tema l’instabilità ora che Sharon non è più al comando. Quando divenne primo ministro, una parte dell’opinione pubblica lo giudicava un estremista che avrebbe condotto il Paese alla catastrofe; in realtà le cose sono andate molto diversamente. Olmert è più prevedibile di Sharon, ma la sua linea di condotta mi sembra molto chiara e comunque non preoccupante».
marcello.

foa@ilgiornale.it

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