Non basta un clic per rompere i monopoli digitali

Stefano Mannoni e Guido Stazi sono due giuristi-economisti di principî e origine liberale che hanno il dono della chiarezza. Hanno lavorato nelle istituzioni, conoscono il mondo della divulgazione, e il loro nuovo libro Is Competition a Click Away? Sfida al monopolio nell'era digitale (Editoriale Scientifica) è un piccolo capolavoro di chiarezza. A partire da quel titolo in inglese, che in sé incorpora uno dei fondamenti dell'attuale praticaccia antitrust. In buona sostanza i grandi operatori del digitale da Google ad Amazon, da Facebook a Booking, si fanno perdonare le proprie posizioni praticamente monopoliste per il banale fatto che basterebbe un click per non usarli. D'altronde nessuno ci obbliga a essere iscritti a Facebook, ci sono decine di alternative, non solo fisiche, agli acquisti su Amazon. «Quando mai nella storia si sono visti monopolisti così popolari? Delle due l'una allora: o non sono veri monopolisti: o lo sono in modo così assoluto da vincere senza clamore la partita più difficile: quella del consenso. Diciamo subito che propendiamo per la seconda ipotesi». Questi signori per gli autori «non sono monopolisti solo perché concentrano un grande potere economico e informativo. Lo sono perché proprietari delle infrastrutture social». Che però, ci viene da notare, sono esattamente l'origine del loro successo e sono figlie dei loro investimenti e dell'attitudine al rischio, in altre parole della loro attività imprenditoriale. Eppure, notano i nostri, l'Antitrust più importante, aggiungiamo noi, cioè quello americano, non si preoccupa granché della loro esistenza.

C'è una responsabilità pubblicistica in tutto ciò: «L'enfasi della dottrina della concorrenza sui prezzi bassi per i consumatori nel breve periodo ha dominato incontrastata, protetta dall'ombrello della Scuola di Chicago. Producendo notevoli inconvenienti, non ultimo quello di avere lasciato crescere e prosperare sotto la propria egida impressionanti monopoli un po' in tutti i settori».

Rispetto a un'analisi ben fatta e ben scritta, ci limitiamo a un'unica gigantesca domanda: ma dove mettiamo l'asticella dell'intervento regolatorio, se spazziamo via dal campo di gioco l'interesse del consumatore? Chi decide qual è l'ambito corretto della piattaforma digitale? Come tagliarne le articolazioni? E aggiungiamo: non sono, le argomentazioni dei nostri, infine, le medesime - anche se aggiornate alla rivoluzione digitale - di coloro che hanno sempre contestato l'esistenza delle grandi imprese ipso facto? Tutti noi abbiamo sotto gli occhi il rischio che questi giganti ci fanno correre, ma siamo sicuri, parafrasando Ronald Coase (un altro economista di Chicago) che qui il tema più che di Antitrust non sia di attribuzione corretta dei diritti di proprietà

relativi alle nostre informazioni personali? Cioè un campo del tutto diverso?

Tante domande, tutte nate da un gran libro. Che conviene leggere. Ci mette in discussione sull'unico tema economico che oggi vale la pena affrontare.

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