Politica

«Non brucerò le carte di Wojtyla»

«Non contengono giudizi su persone o opinioni personali. Le affiderò a degli storici seri»

Andrea Tornielli

da Roma

«Non ho bruciato niente degli scritti personali di Wojtyla, semplicemente perché niente merita il fuoco». È quanto ha detto ieri monsignor Stanislao Dziwisz, l’ex segretario di Giovanni Paolo II alla radio polacca Polskie Radio. Il prelato polacco, che per quasi quarant’anni ha vissuto a fianco del cardinale e poi del Pontefice è stato nominato nei giorni scorsi da Benedetto XVI arcivescovo di Cracovia e dal prossimo agosto prenderà possesso della storica diocesi che fu di Wojtyla.
Il giornalista dell’emittente polacca ha chiesto a monsignor Stanislao che fine hanno fatto le carte che Giovanni Paolo II ha lasciato. Scritti, appunti, annotazioni personali che il Pontefice voleva fossero bruciati. Si legge infatti nel suo testamento, reso noto pochi giorni dopo la sua morte avvenuta com’è noto il 2 aprile di quest’anno: «Non lascio dietro di me alcuna proprietà di cui sia necessario disporre. Quanto alle cose di uso quotidiano che mi servivano, chiedo di distribuirle come apparirà opportuno. Gli appunti personali siano bruciati. Chiedo che su questo vigili don Stanislao, che ringrazio per la collaborazione e l'aiuto così prolungato negli anni e così comprensivo». Dunque monsignor Dziwisz, secondo le ultime volontà di Giovanni Paolo II, avrebbe dovuto bruciare personalmente tutti gli scritti oppure sorvegliare che ciò avvenisse. Ma don Stanislao non ha ritenuto giusto distruggere quest’ultima testimonianza dello straordinario pontificato wojtyliano perché si dice convinto che «questa enorme eredità, composta da scritti di vario genere, merita di essere conservata in toto e tramandata ai posteri». E proprio questo materiale potrebbe servire ora per la causa di beatificazione. Nei giorni scorsi è stato infatti pubblicato ed affisso l’editto con il quale il cardinale Camillo Ruini, Vicario della diocesi di Roma, invita tutti i fedeli a comunicare direttamente o a far pervenire «tutte quelle notizie dalle quali si possano in qualche modo arguire elementi favorevoli o contrari alla fama di santità» di Giovanni Paolo II. Nell’editto Ruini «ordina» a quanti fossero in possesso di scritti – diari, lettere, scritture private – di Karol Wojtyla di consegnarli in originale o in copia autenticata alla postulazione della causa. Dunque, non essendo andati distrutti, anche gli appunti privati rimasti nel cassetto del Papa, dovrebbero confluire nella causa.
Monsignor Dziwisz ha pure rivelato all’emittente polacca di aver tenuto un diario minuzioso del pontificato fin dal primo giorno dopo l’elezione, dove sono stati annotati avvenimenti e incontri del Papa. «Non ci sono giudizi sulle persone od opinioni personali», ha precisato don Stanislao, che si è detto disponibile a cedere il documento «a degli storici seri».
Niente di quanto Wojtyla ha lasciato scritto, dunque «merita il fuoco». La posizione dell’ex segretario non è però così inusuale. Era già accaduto con Paolo VI, che nel testamento aveva scritto: «Gradirei che fossero distrutti manoscritti e note di mia mano...». E aveva anche aggiunto che nel caso l’esecutore testamentario, vale a dire il suo segretario Pasquale Macchi, non fosse stato in grado di provvedere, a distruggere tutto avrebbe dovuto pensare la Segreteria di Stato. Non è avvenuto: tutti i manoscritti di Papa Montini sono stati conservati e ora si trovano presso l’Istituto Paolo VI di Brescia, che poco a poco li pubblica. Diverso è il caso di Papa Giovanni: nel testamento non aveva ordinato di distruggere i suoi scritti, ma aveva incaricato a voce il segretario Loris Capovilla di pubblicarli – se lo avesse ritenuto opportuno – dopo la sua morte.

Com’è puntualmente avvenuto.

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