Non c’era soltanto Effetì l’incendiario Ecco gli altri grandi «aero-dimenticati»

Il futurismo ha un padre unico e insostituibile, ma le personalità che hanno affiancato Marinetti sono molte. L’arte può essere totale e collettiva se totale e collettivo è il movimento, se ogni aspirazione individuale si integra in un’azione militante. Per questo il termine «avanguardia» calza a pennello al futurismo: non solo creazione, ma anche organizzazione: un esercito di volontari incendiari pronti a prendere d’assalto la cultura italiana.
Alcuni (Boccioni, Balla, Sant’Elia, Palazzeschi) sono ormai riconosciuti come centrali nei rispettivi campi. Altri, la maggioranza, sono apprezzati da qualche specialista, ma sconosciuti o quasi al pubblico. Invece, in alcuni casi, si tratta di personaggi di grande interesse, determinanti nell’elaborazione di idee chiave del futurismo.
Prendiamo il caso dell’aeropittura. L’interesse per l’aeroplano era tipicamente marinettiano: la metafora del volo esprimeva l’aspirazione umana a liberarsi dai vincoli della terra. Tuttavia, per la riuscita dell’ennesima battaglia, furono determinanti pittori come il piemontese Fedele Azari e l’umbro Gerardo Dottori. Azari, soprattutto, aggiunse alle intuizioni marinettiane le eccentriche competenze di aviatore spericolato. Celebre durante la Grande Guerra per le ricognizioni aeree in terra nemica, nel dopoguerra inaugurò una forma pubblicitaria nuova, il volantinaggio dal cielo, e creò una società di aviazione a scopo turistico, commerciale e pubblicitario. Nel 1924 Marinetti lo nominò segretario del partito politico futurista, poi si incantò per il suo quadro Prospettive di volo, esposto nel 1926 alla Biennale di Venezia, vero e proprio incunabolo dell’aeropittura. Azari era davvero un personaggio singolare: dandy raffinatissimo e instancabile creatore di progetti: la sua casa d’arte, Dinamo-Azari, pubblicò il libro imbullonato di Depero. Morì nel 1930, trentacinquenne, in circostanze misteriose, forse suicida: due settimane prima, sotto l’effetto di droghe psichedeliche, aveva inscenato una sparatoria nel cortile di casa.
Quanto alla letteratura, pochi conoscono la personalità vivacissima di Francesco Cangiullo, che è quasi al livello di Marinetti per la produzione parolibera. Napoletano, la sua opera è un trionfo di colori, sorprese e trovate degne di Piedigrotta. Futurismo e Vesuvio, dunque: un binomio pirotecnico.

Per finire, una menzione e una proposta: le liriche, strepitose, di Armando Mazza, il siciliano che Palazzeschi ricordava per le qualità di pugilatore esibite nelle serate futuriste: la sua raccolta Firmamento, del 1920, è tra le opere più belle della poesia di quegli anni, non solo futurista, una sintesi suggestiva di guerra, gioco e eros. Introvabile, e mai più ristampata se non in una rarissima versione anastatica praticamente irrintracciabile sul mercato. Da ripubblicare subito, prima che finisca il centenario.

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