Non c’è più Tangentopoli Ma per la Corte dei conti è colpa solo dell’omertà

Un procedimento per concussione. Quattro per corruzione. E stop. Il 2010 in Lombardia della Corte dei Conti si ferma qui, nel raccontare i tentativi dello Stato di chiedere ai pubblici ufficiali dalla mazzetta facile di risarcire il danno causato alle casse pubbliche. Un dato, esposto ieri nella relazione inaugurale dell’anno giudiziario della Corte, che si presta a poche letture. Sono crollati i casi di corruzione? Oppure i casi vi sono, ma non hanno causato danni allo Stato? O, ultima possibilità, non si riesce ad aprire i procedimenti di recupero perché la magistratura contabile è allo stremo delle risorse umane, come si legge nella relazione (che però non spiega perché dopo le 13 sia impossibile trovare un magistrato in ufficio)?
La risposta che fornisce Paolo Evangelista procuratore generale presso la Corte dei conti, è ancora diversa: «C’è da mettere in conto la corruzione non rilevata ovvero quella che non arriva sui tavoli dei magistrati per omessa denuncia». In Lombardia, insomma, la pratica della tangente sarebbe assai più diffusa di quanto risulta dai dati, perché le vittime preferiscono tacere. Una teoria della omertà in versione milanese che potrebbe suscitare qualche allarme, ma anche qualche perplessità: se non altro perché smentita dai dati in tema di corruzione forniti appena due mesi fa dalla magistratura penale.
Evangelista fornisce anche una indicazione sulle fonti dei suoi timori, gli «organismi internazionali che preferiscono fare riferimento ad indicatori di percezione della corruzione dei singoli stati». E, per essere più chiaro, cita «Transparency International nel report 2010 inserisce l’Italia al 67° posto della classifica mondiale dietro il Ruanda». Si tratta, come è noto, di una classifica basata essenzialmente su sondaggi telefonici, e che fornisce risposte a volte tanto clamorose da risultare inverosimili: nel report citato da Evangelista, per esempio, il 28,8 per cento degli intervistati dichiarava di avere un parente che aveva versato tangenti al «sistema giudiziario».


Per il resto - in una relazione ricca di citazioni colte, da Virgilio a Calamandrei a Quintino Sella - ricorda a dimostrazione dell’attivismo della magistratura contabile milanese anche alcune iniziative specifiche: come il sequestro della casa che Piergianni Prosperini, assessore regionale condannato per tangenti, aveva regalato alla figlia, la quale poi l’aveva venduta; o come i risarcimenti imposti ai sindaci (prevalentemente leghisti) di alcuni comuni lombardi che avevano stanziato fondi dei loro municipi per rimborsare ai cittadini i soldi pagati per il canone Rai.

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