Caro Direttore,
conosco Giancarlo Perna da molti anni. Non mi sorprende, pertanto, la sua penna intrisa di veleno. Ho letto cose molto più virulente. Sono invece stupito che abbia voluto dedicare tutto quel tempo ed un'intera pagina del Giornale ad un personaggio, come il sottoscritto, che forse non meritava tanta grazia. Nel merito: tante cose al limite dell'insulto («di indole ilare e superficiale», «dice cavolate», «un fenomeno da circo»: solo per citarne alcune) ed il tirare in ballo il presidente della Repubblica nei confronti del quale nutro una stima profonda inventando di sana pianta cose mai avvenute. Conosco da tempo Giorgio Napolitano. Credo di sapere come ragiona e quindi, quando divenne presidente della Camera dei Deputati, non gli sottoposi mai la mia candidatura come capo della sua «segreteria particolare». Se poi lo stesso presidente della Camera si consultò con Luciano Violante nella scelta di Maurizio Meschino è cosa che non conosco. Evidentemente Perna è più informato di me.
La cosa, invece, destituita d'ogni fondamento è il nesso conseguenziale (mancata nomina abbandono del Pci) ch'egli stabilisce nelle mie scelte politiche successive. Lasciai il Pci nel momento in cui si sciolse la componente dei «miglioristi». Si trattava allora di decidere tra il rientrare nei ranghi o essere conseguente con i contenuti politici di quella proposta. Optai per la seconda soluzione. Mi iscrissi al Psi e continuai a lavorare nella rivista di Emanuele Macaluso, insieme a tanti altri socialisti: Le ragioni del socialismo. Fu forse una scelta opportunistica? Avvenne negli anni in cui il Psi fu travolto dal ciclone di Tangentopoli ed i post-comunisti entravano, trionfalmente, nell'area di governo.
Il resto della mia vita fu coerente con quelle scelte. Nel 2001, come capo del servizio studi della Camera, in un convegno pubblico, denunciai, a ragione, il rischio di uno sforamento dei conti pubblici ben prima che Giulio Tremonti, appena divenuto ministro, ne certificasse l'esistenza a reti unificate. Rischiai di essere destituito, su richiesta del presidente della Camera di allora, in compenso conobbi il neo ministro dell'Economia, che poi seguii come capo della segreteria tecnica. Del tutto ridicola appare pertanto l'accusa di aver contribuito alle sue successive dimissioni nel 2003. Evidentemente Perna sopravvaluta le mie capacità. Se avessi avuto quel potere non sarei certo tornato a svolgere per un breve periodo l'incarico, indubbiamente prestigioso ma poco incisivo, di bibliotecario della Camera dei deputati. Sarei forse stato nominato, come avvenuto per tanti miei colleghi (lo stesso Maurizio Meschino ch'egli cita nell'articolo) membro del Consiglio di stato o della Corte dei conti. Invece mi sono rimboccato le maniche in una professione difficile e poco appariscente come quella di semplice consulente.
Per il resto non ho molto da aggiungere. Le cose raccontate, in modo distorto, sono ancora sul web. Basta andarle a vedere. Si avrà così contezza se trattasi di gaffe o del coraggio di dire le cose come stanno. Perna incroci pure la dita. Io spero, invece, che questa malattia si diffonda, per porre fine a quelle forme di opportunismo che stanno uccidendo l'Italia.
Con stima
Caro Gianfranco,
(ci davamo del tu) il direttore mi incarica della risposta. Credevo - sbagliando - che essendo un «pizzicatore» ti lasciassi pizzicare a tua volta. Nel merito. Ho scritto che sei passato dal Pci al Psi e oggi sei repubblicano. Libero di ritenerti coerente, né io ti contraddico. Spieghi, inoltre, il tuo passaggio dal Pci-Ds al Psi, con la fine di un mondo. Io, con i tuoi colleghi funzionari (all'epoca frequentavo molto la Camera), lo attribuimmo invece alla delusione per la scelta fatta da Napolitano. Due interpretazioni, non un attacco velenoso, per stare al tuo linguaggio. Le altre cose di cui parli, non compaiono nel mio articolo.
Con simpatia.
Giancarlo Perna
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