Cultura e Spettacoli

Non è il colore ma la qualità a fare la cultura

Come sempre, nel fondo di lunedì Quale cultura. Ci vorrebbe un Marinetti, Giordano Bruno Guerri è stimolante. Ma al di là della provocazione che prende spunto dalla notte futurista in preparazione a Roma da parte dell’assessore alla cultura Umberto Groppi, a me pare che tra le sue brillanti righe ricompaia un vecchio schema che guarda alla cultura per il suo colore, di sinistra o di destra, e inquadra i fenomeni e le personalità non per il valore in sé e per sé, ma in quanto appartenenti a specifici movimenti.
Non mi sembra che abbia senso affermare che la «notte futurista» è un evento positivo perché richiama un movimento che avuto successo un secolo fa e si scrolla di dosso l’intreccio con il fascismo. La notte futurista potrà essere ben fatta o mal fatta, potrà coinvolgere la mente e il cuore dei romani a seconda di come sarà realizzata, così come potrebbe accadere con una giornata astrattista, un pomeriggio costruttivista, una mattinata esistenzialista o un festival cubista. Per gli eventi artistici, soprattutto quando sono utilizzati come strumenti per una cultura di massa, il valore non può che venire dalla qualità dell’evento stesso piuttosto che dal suo contenuto ideologico.
È questo il criterio che dovrebbe essere tenuto a mente dai responsabili del centrodestra che di questi tempi hanno il compito di mettere in atto le politiche culturali. Altrimenti che differenza vi sarebbe tra i contenuti «buoni» affermati come il requisito necessario della più becera «intellettualità impegnata» di sinistra, e il suo pendant dalla parte opposta? Se mi è consentito di accennare al mio metro, la vera distinzione passa tra chi ritiene che occorre una politica culturale orientata e «impegnata» in qualsiasi senso, e chi invece, da un ottica liberale, ritiene che vada difesa e valorizzata al massimo la libertà della cultura in tutte le sue espressioni.
Capisco che Guerri ami la creatura futurista a cui ha dedicato la sua intelligenza di ricercatore. Ma anche per il futurismo varrebbe la pena di storicizzare piuttosto che di ideologizzare. Il movimento italiano è una delle espressioni di avanguardia della nuova Europa che esce dall’800, parallela a una serie di altri movimenti che hanno aperto il rinnovamento culturale con una frattura rispetto al passato. Dopo i movimenti artistici legati al modo di produrre artigianale - Arts&Crafts di Morris in Inghilterra, l’Art nouveau in Francia e Belgio, Sezession in Germania e Austria, el Modernismo in Spagna, il Liberty in Italia - non fu soltanto il futurismo a porre l’arte in rapporto alla nuova civiltà industriale meccanica. Ebbero una significativa rilevanza la Bauhaus in Germania, il Costruttivismo in Russia, il Movimento moderno in Francia, De Stjil in Olanda e il Cubismo ovunque. Di questi e altri movimenti avanguardistici in cui si fondevano sperimentazioni artistiche, letterarie, teatrali e poi cinematografiche, tuttavia la storia ricorda soprattutto le singole personalità per quello che esse fecero, e non per la corrente o il movimento cui appartennero.
E allora quando si vuole riportare alla memoria il futurismo che lo merita, piuttosto che ai manifesti che hanno fatto il loro tempo, sarebbe meglio ricordare i buoni pittori e scultori, da Boccioni a Balla, da Carrà a Depero, piuttosto che i mediocri che si infilarono nel movimento per sfruttarne il successo. Allo stesso modo quando ricordiamo l’architettura degli anni Trenta, si dovrebbero distinguere le eccellenti realizzazioni di profilo internazionale - alcune città nuove come Sabaudia, le poste di piazza Bologna di Ridolfi o la Casa della scherma di Moretti a Roma, solo per fare qualche esempio - mentre l’innesto del razionalismo sul monumentalismo alla fine del decennio diede vita a pasticci come il cosiddetto «Colosseo quadrato» dell’Eur.
Chi è responsabile delle politiche culturali, di élite o di massa che siano, dovrebbe mettere in soffitta il «noi» e il «loro» per il presente e il passato. Il bello e il brutto, l’arte e la non-arte non hanno bisogno di movimenti per essere riconosciuti come tali, e tantomeno di movimenti legati a una tendenza politica. Tous les ismes finissent dans le conformisme.
m.

teodori@mclink.it

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