Politica

«Non facciamo favori all’Unione congeliamo il federalismo fiscale»

«Nelle amministrazioni appena insediate ci sono dilettantismo e arroganza»

Fabrizio de Feo

da Roma

«La Cdl porti avanti la riforma costituzionale solo se ha la certezza della vittoria. Altrimenti perché fare un assist a Prodi?». Il ministro della Salute ed ex presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, in mattinata legge l’inchiesta de Il Giornale sui conti delle regioni rosse e sulla malagestione di vecchi e nuovi governatori del centrosinistra. E fa risuonare una proposta destinata a far discutere.
Ministro Storace, mi faccia capire: lei sostiene che la devoluzione, una volta approvata, darà al governo centrale la possibilità di frenare l’ondata di sprechi montante nelle amministrazioni locali.
«Certo, grazie al recupero della nozione di interesse nazionale e alla definizione precisa delle competenze dello Stato e delle Regioni».
E quindi darà la possibilità all’eventuale governo-Prodi di frenare la «febbre da scialo» che sta colpendo i governatori rossi, evitando una feroce guerra intestina.
«Esatto. Credo che la sinistra farebbe un uso della riforma costituzionale assolutamente centralista, approfittando delle cose buone scritte dal centrodestra. D’altra parte il titolo V ha sfasciato i rapporti tra Stato e Regioni. E io lo posso dire con cognizione di causa visto che fui tra i pochissimi a votare no al referendum su una pseudo-riforma che ha massacrato i fondamentali del rapporto tra Stato e regioni».
Guardi, però, che il centrosinistra dice di non volere la devoluzione. Anzi ha già annunciato una battaglia campale per cancellare la riforma a colpi di referendum.
«Figuriamoci. La sinistra, se dovesse vincere, tutto farà tranne che il referendum. Si beccherà tanto potere centralista senza colpo ferire. Quello che aspetta le regioni nella sciagurata ipotesi dovesse vincere Prodi sarà un futuro durissimo. La sinistra non è abituata a fare prigionieri e tra le prime vittime ci saranno i presidenti delle regioni».
Non le sembra uno scenario un po’ azzardato?
«La Quercia ha già avvertito i governatori che in caso di vittoria saranno tagliati i finanziamenti. A quel punto scatterà un regolamento di conti tra governo e regioni. Il punto è proprio questo: perché proprio noi, con la tanto vituperata riforma costituzionale, dobbiamo risolvere i problemi a chi governerà il Paese nella prossima legislatura? Se siamo sicuri di vincere facciamo bene ad andare avanti. Altrimenti perché fare un regalo a Prodi e compagnia?».
È consapevole che la sua proposta verrà interpretata come un pretesto per bloccare la devoluzione?
«Io ho rispetto per la riforma. Da parlamentare l’avrei votata. Ma mi chiedo se non sia il caso, dopo il passo in avanti fatto con la terza votazione, di fermarsi e farne il manifesto della nostra campagna elettorale, di sottoporla al giudizio del nostro elettorato. Noi esponiamo i dati del contenzioso, portiamo all’attenzione di tutti lo scempio che stanno facendo nelle regioni e dimostriamo che con la devoluzione questa tendenza alla moltiplicazione delle spese verrebbe meno. Sarebbe un modo anche per rispondere all’ipocrisia della sinistra».
Lei dice: sì alla riforma solo se c’è la certezza della vittoria. Non le sembra di avallare la tesi dello «sconfittismo» del centrodestra?
«Io credo nella possibilità di vincere e credo anche nella riforma. Anzi dico: intestiamocene il merito. Sono sempre più convinto che le elezioni si perdono o si vincono nell’ultimo mese di campagna elettorale. Il mio caso ne è la dimostrazione lampante. Ho viaggiato con il vento in poppa fino a trenta giorni prima del voto. Poi è successo di tutto: le uscite di Calderoli, la querelle sul contratto degli statali, la riforma fiscale poco apprezzata, il casino infernale sulla candidatura della Mussolini e perfino la morte del Papa...Ma io credo che se ci giochiamo bene le nostre carte possiamo vincere».
Crede che la Lega possa accettare una proposta di questo tipo?
«Dovrebbe valutarla bene perché in caso di vittoria la Lega al governo potrebbe attuare la riforma, in caso di sconfitta rischierebbe di subirla».
Ma come sono attualmente i suoi rapporti con i ministri leghisti?
«Lo domandi a loro. Mi sembra che si sia creato un rapporto di grande fiducia, rinsaldato dalle riunioni che organizzo ogni settimana al mio ministero».
Cosa pensa della straordinaria munificenza dei governatori dell’Ulivo? Promettevano brucianti partenze programmatiche e invece hanno prodotto poltrone, nuove assunzioni e stipendi d’oro.
«All’indomani delle Regionali ero pessimista perché immaginavo che i nuovi presidenti avrebbero campato per un anno in luna di miele con l’elettorato. Invece in cento giorni hanno già dilapidato il patrimonio di consensi. Nella Regione che ho governato per cinque anni vedo un incredibile tasso di pressappochismo e dilettantismo, mischiato all’arroganza di chi arriva in un’istituzione importante senza avere i fondamentali. Un esempio: è stato promesso di abolire il ticket sui farmaci generici. Ma quel ticket nel Lazio non c’è. Cose veramente da restare a bocca aperta».
Piero Marrazzo ha aumentato il numero degli assessori, delle commissioni e dei consulenti. Eppure nelle strade di Roma campeggia un manifesto che recita: «Marrazzo riduce gli stipendi d’oro concessi dalla giunta Storace».
«Ha fatto tutto da solo. Ha aumentato gli stipendi e poi ha fatto retromarcia quando i giornali, l’opposizione e i Ds hanno denunciato lo sperpero. Il problema non sono tanto gli assessori quanto la struttura che si gonfia, i numeri degli addetti alle segreterie, i compensi che lievitano come quello del nuovo direttore del Policlinico, superiore del 30% a quello del predecessore. Sono le consulenze e gli stipendi il problema.

Oltre all’arroganza».

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