Possiamo chiamarlo il ratto dei piedi (buoni). Dopo tanto parlare di cervelli italiani in fuga, ora ci toccano pure i baby-calciatori. E già, perché se tutti i club stranieri facessero come l'Arsenal, in un futuro non così lontano potrebbero soffiarci i nostri campioncini da sotto al naso. No, i Gunners non hanno comprato Balotelli dall'Inter, come vociferava radiomercato giorni fa. Il problema, semmai, è che il prossimo Super Mario potrebbe indossare la maglia biancorossa già a sei anni. Senza che i nostri squadroni vengano compensati con vagonate di milioni di euro in stile Real Madrid.
Già in passato abbiamo visto nostri atleti spiccare il volo verso lidi inglesi in giovane età. A Londra ne sanno qualcosa: Arturo Lupoli e Vito Mannone abbandonarono presto il sogno di giocare a San Siro per calcare il verde prato dell'Emirates Stadium. Giuseppe Rossi, uno dei nostri giovani calciatori più promettenti, arrivò a Manchester quando neanche si sapeva che un giorno avrebbe indossato la maglia della Nazionale azzurra. Al Chelsea, Carlo Ancelotti si coccola Fabio Borini, 17enne fuggito da Bologna in cerca di gloria a Stamford Bridge. Ma la logica dei Gunners oggi è diversa. Non più «rubare» talenti ai settori giovanili delle nostre squadre. Pratica che, peraltro, ha sollevato spesso proteste nelle sedi Fifa da parte dei team beffati. Ma appiccicare la casacca bianco-rossa ai nostri baby fenomeni sin dai primi calci. E direttamente sul suolo natio.
Ecco perché lunedì 8 febbraio Paul Shipwright, direttore del progetto «Arsenal soccer school», era in Italia felice come una pasqua. I Gunners hanno scelto il modernissimo centro «La Biglia» di Cornaredo, in provincia di Milano, come nuovo hosting club per il loro progetto italiano. Una scuola calcio di riferimento dove poter pescare piccoli gioielli da portare nella City a tempo debito. Proprio in questi giorni i responsabili della prestigiosa squadra londinese hanno avviato corsi di aggiornamento per i tecnici locali. Per i bimbi italiani si apre così una nuova opportunità. Quella di preferire già a sei anni un camp di una squadra inglese piuttosto che in quelli nostrani. Non è un caso che una strategia simile arrivi proprio dall'Arsenal. Una multinazionale del pallone in tutti i sensi. La rosa della prima squadra ha un'età media bassissima rispetto alle altre big d'Europa e il numero degli stranieri è di gran lunga superiore a quello dei calciatori autoctoni. Il capitano, Cesc Fabregas, è uno spagnolo arrivato in Inghilterra a 15 anni, mentre il mister, Arsene Wenger, è un francese trapiantato oltremanica ormai da 14 anni. La multiculturalità qui è di casa. «Abbiamo logiche diverse dale altre squadre della Premier. I Gunners sono inglesi giusto perché giocano all'Emirates Stadium di Londra. Ma la nostra è una combinazione di culture e scuole calcistiche differenti. È questa la nostra forza», dice Shipwright.
Il club londinese è presente con iniziative simili a quella inaugurata in Italia in più di 20 paesi e coinvolge oltre 25mila piccoli atleti in tutti i continenti. Un potenziale vivaio enorme. Tante scuole calcio nel mondo, ma un solo motto: «Play the Arsenal way», gioca alla maniera dell'Arsenal. Chi segue la squadra di Wenger sa di che si tratta. In pratica, divertiti e fai divertire. Forse così non sempre si vince, ma di sicuro si cresce bene. Per questo gli 85 bambini iscritti al centro sportivo «La Biglia» non stanno più nella pelle.
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