In «Non guardate al domani» otto voci cantano la fine di Moro

All’Elfo di Milano presente anche la figlia dello statista

Grande testimonianza di volontà e consapevolezza, questa di Non guardate al domani, al Teatro dell’Elfo di Milano: il teatro musicale che s’impegna sulla storia recente, e per di più affronta con limpida coscienza un episodio controverso, inquietante e tragico, il rapimento e la morte di Aldo Moro e la scelta della Democrazia cristiana di non trattare con le Brigate rosse a costo di sacrificarlo. Angelo Miotto ha confezionato un onesto libretto a collage di documenti e lettere e Filippo Del Corno, giovane musicista ed ispirato, colto interlocutore musicale a Radiotre, lo ha musicato.
Forse proprio la buona coscienza, insieme alla devozione per i modelli musicali di Andriessen ed altri, ha influito sulle scelte del compositore, che, a parte qualche accento di pietà nelle parole dell’ultima lettera dello statista, ha proceduto semplicemente portando otto voci, sempre una per volta impersonando politici, brigatisti o giornalisti, ad inerpicarsi per passaggi e intervalli e ritmi con secchezza, non più allo scopo del «recitar cantando» delle origini, cioè alla ricerca dell’espressione, ma per mostrare una sorta di neutrale oggettività, mentre dieci strumenti infuriano appaiandosi a loro senza cercare mai né contrappunti né armonie, e su uno schermo appaiono didascalie e spezzoni di filmati. In questo modo però non si vede perché radunare cantanti, tra cui alcuni di vivida qualità come Abbondanza, Petroni e Guadagnini, e il gruppo dei Sentieri Selvaggi diretto da Boccadoro, ed un nutrito pubblico di appassionati e amici.

Non c’è drammaturgia, non canto, non dialettica. È un ripasso.
La serata, applaudita, si è aperta con un colloquio fra Miotto e l’ospite di riguardo, Agnese Moro, figlia di Aldo, che ci ha dato senza volerlo una lezione di alta e serena civiltà.

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