Roma - Tanto la sentenza era attesa che l’ordine di scuderia è partito da Palazzo Grazioli ore prima della pronuncia della Corte Costituzionale. Così, tutti a dire che la bocciatura del legittimo impedimento va comunque bene e che bisogna star lì a guardare «il bicchiere mezzo pieno» perché nella sostanza la Consulta «salva» l’impianto giuridico della norma. In verità la decisione di ieri rinvia di fatto la valutazione della sussistenza o no dell’impedimento proprio a quelle procure di cui il Cavaliere si sente vittima da oltre tre lustri. Per dirla come l’ha commentata in privato Berlusconi, da oggi i magistrati detteranno anche l’agenda di governo. Decideranno, cioè, quale appuntamento del presidente del Consiglio si configuri o no come impegno istituzionale potendone quindi stravolgere l’agenda.
Considerazioni, quelle del premier, dai toni pacati. Un po’ perché a Palazzo Chigi, a differenza di quanto accadde con il Lodo Alfano, la sentenza era largamente attesa ormai da almeno tre settimane e un po’ perché alla fine è proprio Berlusconi - sul piano strettamente tattico - a trarne vantaggio.
La palla, infatti, passa ora direttamente al Cavaliere, forte del fatto che due dei tre processi ancora aperti (Mills compreso) sono quasi certamente destinati alla prescrizione a causa delle richieste di trasferimento dei magistrati del collegio giudicante. E pure il terzo potrebbe avere lo stesso destino. Non grazie agli «scudi», ma semplicemente perché i magistrati hanno deciso d’occuparsi d’altro e chiesto il «trasferimento ad altra sede» congelando di fatto i procedimenti. La decisione della Corte costituzionale dunque - al di là della linea studiata a tavolino a via del Plebiscito secondo cui «l’impianto della legge resta valido» (così gli avvocati Ghedini e Longo) - non fa altro che dare a Berlusconi una carta in più. Quella di poter affondare i colpi sulla «magistratura politicizzata» e utilizzare l’argomento come uno dei punti cardini della campagna elettorale di primavera.
Già, perché è verissimo che per il Cavaliere le elezioni anticipate hanno lo stesso appeal di una mela rossa per Biancaneve, ma comunque è un fatto che la campagna elettorale ci sarà. Quantomeno quella per le amministrative. E a questo punto il premier potrà decidere - a seconda del momento e della convenienza - se giocare la partita proprio sul fronte anti-giudici, uno dei temi su cui è elettoralmente più forte. Non è un caso che nelle sue conversazioni riservate ieri abbia tenuto due mood diversi e in qualche modo contrastanti. Primo: se mi vogliono in un aula di tribunale non mi farò pregare, sono pronto a presentarmi e vedremo chi sarà a divertirsi visto che non ho nulla da nascondere o di cui vergognarmi. Secondo: ogni volta che un pm eccepirà sulla richiesta di legittimo impedimento sono pronto ad aprire una vera e propria guerra di ricorsi e finire un giorno sì e l’altro pure davanti alla Corte costituzionale. Nel primo caso l’intento è quello di presentarsi in aula e davanti alle telecamere e assestare la sua arringa difensiva in diretta tv, nel secondo è invece quello di aprire un vero e proprio conflitto non solo politico - ma sostanziale e istituzionale - con la magistratura. Si vedrà.
Di certo c’è che il giudizio della Consulta non fa che fornire al Cavaliere una decisiva carta in più. Tanto che - si direbbe «per mettere le mani avanti» - già questa mattina il premier interverrà in televisione a Mattino 5 per spiegare le sue ragioni. Una sorta di «prova generale» di un eventuale affondo contro i giudici se le cose dovessero precipitare. In cui dirà che è «pronto ad andare avanti», perché il suo cruccio principale resta la nascita del gruppo di responsabilità alla Camera che finalmente potrà garantire al centrodestra la maggioranza anche nelle commissioni parlamentari di Montecitorio.
Per fare una sintesi, insomma, basta ripetere le considerazioni fatte ieri in privato da Berlusconi: di andare a votare «non ho alcuna voglia» (anche perché il risultato resta soprattutto al Senato piuttosto aperto), ma «se mi costringono su questa strada certo non sono disposto a mettermi da parte».