da Messina
Lunedì sera, appena sceso dalla nave che lha riportato a Messina, ha abbracciato la figlioletta che stava sul molo ad aspettarlo, stringendo con una mano quella della madre e con laltra una fotografia di suo padre. Francesco Benedetto, 40 anni, funzionario della Direzione investigativa antimafia, ieri mattina è tornato sul molo Colapesce dove sono ormeggiati laliscafo Segesta e la portacontainer Susan Borchard.
Benedetto, conosciuto a Messina anche per la sua attività di guardalinee in serie A e B di calcio, ha voluto rendersi conto di persona di quello che era accaduto il pomeriggio prima. Lui era su quellaliscafo e ricorda ancora quegli attimi con la voce tremolante. «Sono stato uno dei primi a uscire, forse perché ho avuto la forza di restare calmo. Ho realizzato cosa fosse accaduto un attimo dopo limpatto. Siamo rimasti al buio e non si capiva granché - racconta -. Ho sentito uno scoppio, un fragore, sul momento mi è sembrato un attentato, poi ho visto la prua di quella nave allinterno dellaliscafo e ho capito quello che era avvenuto. Per prima cosa ho detto a tutti di mettere i salvagente. Avevo il timore, visto lo squarcio dellaliscafo, che potessimo imbarcare acqua. Cercavo di ragionare, perché se fosse entrata acqua avremmo dovuto buttarci in mare per salvarci. Cerano anche persone anziane, cerano tanti ragazzi».
Prende fiato mentre racconta quei minuti. La tensione, ladrenalina è ancora presente nonostante sia passata una notte. «Ricordo di aver cercato una via di fuga - continua Benedetto - e sono riuscito a trovarla grazie allo squarcio che si era creato nella cabina di comando. Sono salito e, subito, ho fatto defluire un po di gente sulla prua della Segesta. Ho provato a chiamare aiuto, a lanciare il segnale demergenza con la radio dellaliscafo, ma era rotta, cerano tutti i fili tranciati. Ho provato, quindi, a chiamare il 113 con il telefono cellulare. I soccorsi sono intervenuti rapidamente: è arrivata per prima una motovedetta della Guardia di finanza e, urlando, ho cercato di spiegare la gravità della situazione al comandante. Lui ha capito e si è portato ancora più vicino alla nostra imbarcazione per aiutarci. Ma cè stato anche un altro problema. La nave che ci ha speronato non si è fermata, continuava ad andare avanti e quindi non ci si poteva neanche buttare in mare, perché le eliche ci avrebbero risucchiato.
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