L’orizzonte, sostengono gli oracoli del Fondo monetario internazionale, è un oceano di nubi basse e nere. Sta arrivando la grande tempesta, quella che fa tremare i mercati, devasta il Pil, lacera i salari reali e alimenta il pessimismo cosmico delle banche centrali, con i tassi di sconto a fare da àncora in questo mare scuro.
Era un po’ di tempo che i signori di Washington non alzavano bandiera gialla. Non dicevano in modo così netto: attenti, il barometro dell’economia segna brutto tempo. Il rallentamento della crescita, dicono, è significativo e globale. Parlano della bolla immobiliare, la profonda crisi americana dei mutui subprime. E avvertono: il contagio non risparmierà nessuno. E l’Italia? Una zattera.
Magari non è così. Ma se tutto questo è vero, allora, chiudete le finestre e bloccate le persiane, perché questa rischia di essere pioggia acida. Non ci sono frangiflutti contro la tempesta. È questo il peccato originale di Prodi. Non ha mai avuto il coraggio di navigare. È rimasto fermo, lì, a guardare il cielo, recitando il suo rosario di «tutto bene». Immobile, come il re di una mucillagine senza mare.
I giorni dell’emergenza si ripetono come i grani di un rosario e ogni nome è una croce: rifiuti, pensioni, infrastrutture, criminalità, tasse e soldi, soprattutto soldi, quelli che gli italiani non trovano nel portafoglio, l’angosciante sensazione di non arrivare mai a fine mese. L’ultimo governo non ha mai avuto il coraggio di decidere qualcosa. Mai una rotta, mai un segnale forte, mai una risposta certa. È la vittoria metafisica del principio di indeterminazione.
Prodi è caduto, ma il futuro di questo Paese potrebbe finire nelle mani di un ex sindacalista abruzzese, uno che, sussurrano gli stessi colleghi di coalizione, fatica a governare il Senato. Dicono che farà la riforma elettorale. Dicono che ci vorrà un anno. E a sostenerlo ci sarà un governo di transizione che qualcuno cercherà di spacciare per Grande Coalizione, un miraggio che in Italia nessuno ha mai davvero visto. Un lungo governo di chiacchiere e litigi su premi di maggioranza e quote proporzionali. Sarà un’orgia di costituzionalisti e politologi. Vedremo i notabili di corte disquisire sul sesso degli angeli, come in una Bisanzio post moderna. Brutta storia. È questa la trappola che D’Alema sta preparando, con la benedizione del Quirinale. Tutto questo per permettere all’uomo della Farnesina di riconquistare il Pd. Se si va al voto subito Veltroni terrà ai margini delle liste tutti gli uomini di D’Alema. E sarà solo l’ultimo atto del lungo regolamento di conti tra i figli del vecchio Pci.
Il prezzo da pagare sarebbe affrontare la crisi economica con un re travicello. L’appuntamento con la tempesta perfetta merita un governo vero, forte, legittimo.
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