Bin Laden

Non siamo più capaci di credere senza vedere

Viviamo in un'epoca che squaderna ogni segreto. Ma è più forte chi chiede un atto di fede

Non siamo più capaci  
di credere senza vedere

È ragionevole credere a un fatto che non si vede? È indispensabile vedere per avere la certezza di un evento? Queste domande sono sottese al dibattito planetario di questi giorni se mostrare o no le immagini del cadavere martoriato di Osama bin Laden. Domande antiche ma dimenticate nella società dello scetticismo e della dittatura dell’immagine, che vengono però riproposte dalla decisione della Casa Bianca di non mostrare il corpo dello sceicco del terrore.
Sono domande che investono tutto l’uomo, non soltanto i dubbi sulla strategia mediatica del presidente Obama e del suo staff. Toccano la filosofia, la metafisica, ciò che esiste oltre la realtà sensibile.

Riguardano la storia che studiamo a scuola: dobbiamo trasformarci in archeologi per raggiungere la verità sui fatti antichi raccontati nei libri di testo? Non risparmiano la vita di tutti i giorni: come posso essere certo che il fruttivendolo non mi vende cibo adulterato? Investono supremamente la religione, il luogo del mistero e della fede. Domenica in tutte le chiese è stato letto il vangelo di san Tommaso: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno», dice Gesù all’apostolo incredulo.

Più modestamente, quel dubbio sfiora chiunque compri un giornale, guardi la tv, legga internet. Nessun lettore è testimone diretto dei fatti, spesso non lo sono nemmeno i giornalisti che li raccontano, i quali si devono affidare a fonti da verificare. E talvolta è impossibile risalire alla fonte «prima». Come nel caso in questione.
In fondo, anche la vita di Bin Laden è un atto di fede. Di lui abbiamo vecchie foto, brandelli di discorsi registrati e un alone di mistero. Ora il medesimo destino avvolge la sua morte, di cui però gli americani non forniscono la «prova regina», la «pistola fumante» che il mondo attende. Le foto, e quelle vere, non i taroccamenti che circolano su internet. Non è soltanto curiosità morbosa: servirebbe a mettere la parola fine alle immancabili teorie del complotto.

Ma Obama, finora, non ha ceduto. I motivi sono diversi: la crudezza delle immagini, il pericolo di fomentare il fanatismo anti-americano, l’opportunità di non creare una nuova icona, il timore di svelare particolari che devono restare segreti. Accanto a queste considerazioni, sullo sfondo, rimane il messaggio del presidente: dovete credere in noi. Dovete fidarvi. Un invito che non verrebbe meno se un domani si decidesse di rendere pubbliche immagini raccapriccianti.
Per l’Europa di oggi, stanca e - appunto - sfiduciata, è una rivoluzione copernicana. La fiducia è una cosa seria che si dà alle cose serie, diceva una vecchia pubblicità. Perché per fidarsi non servono prove scientifiche o dimostrazioni matematiche ma occhi e cuore, ragione e affezione; occorre che l’intera persona si implichi con l’interlocutore.

La conoscenza raggiunta per fede è un atto della ragione, non è un salto nel vuoto; essa ha dignità almeno pari a quella basata sull’evidenza scientifica. Credere non è un ripiego per deboli, ma una dimostrazione di forza. Chi chiede fiducia esige un coinvolgimento pieno perché sa di meritarselo. Così oggi l’inquilino della Casa Bianca che tiene per sé le immagini di Bin Laden morto è un presidente forte. Egli mette in campo la propria credibilità, il suo capitale più prezioso. Obama sfida la cultura del dubbio. E incrina la mentalità occidentale pervasa dalla piccolezza d’animo di chi è convinto che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. È come se dicesse: se non credete a me che vi racconto la morte di Osama non potete credere neppure a quanto è avvenuto negli ultimi dieci anni.

È uno smacco allo scetticismo e al relativismo, e assieme un invito alla responsabilità. «È meglio nascondere che eccitare», titolava ieri la Stampa un editoriale che giustificava la «Obama’s choice». Posizione condivisibile. Ma che sembra appartenere a un’altra epoca. Perché questo è il mondo di Assange e Wikileaks dove non bisogna nascondere nulla ma diffondere tutto, foto, colloqui riservati, fascicoli secretati. E noi viviamo nell’Italia in cui non ci deve essere freno alla pubblicazione di intercettazioni, atti giudiziari, foto compromettenti, chiacchiere confidenziali, gossip presidenziali.

E siccome si dubita di tutto, non si crede più a nulla.

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