A volte, si convertono. «Ho iniziato con questo prete che cera in ospedale. Un giorno, mi ha tirato dentro alla cappelletta. Trovarmi là, mi ha fatto scattare qualcosa nella memoria. Più che un ricordo, una sensazione. Quella di quando da bambino pregavo con la speranza nella preghiera». Umberto Bossi, in unintervista dellanno scorso, parla così del suo rapporto con Dio, rinato nella fatica e nel dolore della malattia, nella primavera del 2004 quando lictus aveva fatto scomparire il Senatùr dagli occhi della politica e del mondo per consegnarlo al silenzio dellospedale, agli affetti della famiglia, alle lacrime della riabilitazione.
Impossibile indagare lanimo delluomo, ma certe parole, la commozione nellincontrare Benedetto XVI in mezzo a tanti semplici fedeli, la gioia di essere «ammesso al bacio dellanello» dopo linvito del Papa a «testimoniare sempre con stile umile, rispettoso e cordiale», tutte queste cose e anche qualche altra lasciavano pensare che fossero dimenticati per sempre i tempi in cui il Senatùr guidava dal Monviso le crociate contro la Chiesa e contro il clero, nel nome del dio Po e della Padania cristiana. «Bisognerebbe togliere l8 per mille alla Chiesa, rimetterli a piedi nudi e dar loro la possibilità di fare i francescani. E la religione si salverà» profetizzava in uno degli ultimi comizi prima della malattia.
Invece ancora polemiche, questa volta accese brandendo la croce e accarezzando il bue e lasinello, in un clima a metà tra la guerra santa autonomamente dichiarata allislam e la lotta per le investiture, in bilico su un cristianesimo senza Chiesa, ai pericolosi confini delleresia. E dire che era lo stesso Senatùr, nel 1992, a mettere in guardia dal rischio guerra dei mondi: «Troppa gente, nella storia, ha detto Dio è con noi. Risuona ancora nelle orecchie di molti italiani, io credo, il Gott mit uns dei nazisti. La religione, ne sono convinto, deve essere tenuta fuori dalle scelte della politica». E ancora: «Non sono certo che Dio esista, ma potrei scommettere che non si occupa di politica». Ma soprattutto: «Luso dei simboli religiosi in politica dovrebbe essere vietato. Trovo ipocrita agitare il turibolo per ottenere il voto delle vecchiette». Allora parlava dellincenso della Dc e - come ognuno di noi sa - è molto più facile scoprire la pagliuzza nellocchio dellaltro.
Avanti fino a oggi. «Presepi in tutte le scuole e in tutti i Comuni» chiedeva poche sere fa nel cortile di Palazzo Marino, entusiasta di Giuseppe, Maria, pastori e ruscelletti rigorosamente made in Varese voluti dal sindaco di Milano, Letizia Moratti. «La Croce sulla mia gondola: simbolo delle nostre radici» titola entusiasta il quotidiano della Lega, in uno dei tanti articoli dedicati alla pietra dello scandalo che lEuropa vorrebbe bandire dai luoghi pubblici.
«Da noi i musulmani sbatteranno sempre le corna» tuonava, commentando i minareti sconfitti dal referendum in Svizzera. La battaglia contro le moschee, combattuta con toni da crociata, è allordine del giorno sulla Padania, dove non si muove foglia che il Senatùr non voglia. Bossi cerca di mantenere un faticoso equilibrio di distinguo, ma non richiama allordine le falangi. «La gente si sente rassicurata dalla tradizione» spiega, commentando lattacco allarcivescovo di Milano, definito l«imam Tettamanzi» e paragonato a «un sacerdote mafioso in Sicilia». Immediata la difesa del Vaticano.
La tentazione di spiegare alla Chiesa come fare la Chiesa è sempre in agguato, così scattano gli anticorpi come ai tempi dei «pretoni», dei «vescovoni» e della «curia marcia». Fin troppo semplice mettere uno dietro laltro i vecchi affondi. Nel 1997 se lera presa con Giovanni Paolo II, che gli faceva rimpiangere Giovanni XXIII: «Sono lontani i tempi di quel grande lombardo.
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